venerdì 3 marzo 2017

Il discorso della Montagna - un nuovo Mosè



Anche se siamo già in Quaresima, mi piacerebbe dedicare un po’ di tempo ai vangeli delle domeniche precedenti che ho saltato, perché quest’anno si legge il vangelo di Matteo, che racchiude nei suoi primi capitoli, quelli letti appunto nelle prime domeniche dopo Natale, il bellissimo discorso della montagna, e mi piacerebbe riprendere quei testi che tra l’altro si collegano benissimo con la Quaresima che sta iniziando.
Il discorso della Montagna è racchiuso nei capitoli dal 5 al 7, e la prima cosa interessante da notare è come Matteo abbia deciso di concentrare qui, all’inizio del suo vangelo, una sintesi della nuova visione portata da Gesù. Matteo è ebreo che scrive per ebrei, come si nota anche dalle frequenti citazioni dell’Antico Testamento, ed è particolarmente sensibile alle novità che Gesù ha portato in rapporto alla Legge di Mosè, pilastro fondamentale della vita del popolo di Israele. È stata una vera rivoluzione, e il modo in cui la descrive Matteo ci fa cogliere degli aspetti che possono essere utili anche a noi, che pure siamo lontani dal mondo ebraico. Infatti anche noi abbiamo come riferimento, nell’Antico Testamento, la Legge di Mosè, non tanto nel suo sviluppo e declinazione nei precetti dell’ebraismo (che ci sono assai estranei), ma nella sintesi che ne abbiamo recepito attraverso i Dieci Comandamenti. E sappiamo che i Comandamenti sono tuttora un riferimento fondamentale anche per noi cristiani. Ma con qualche dissonanza che, vedremo, è molto simile a quella creatasi nel popolo ebraico. Per cui le cose che dice Gesù, curiosamente, sono attualissime anche per noi.

Mt 5, 1-12

Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

Il discorso che qui inizia è il primo che Gesù fa pubblicamente. Gesù si rivolge alla folla che comincia a seguirlo. Matteo evidenzia un particolare, il riferimento al ‘monte’, che ha lo scopo di indicare Gesù come nuovo Mosè.. La montagna è il luogo biblico per eccellenza dell’incontro con Dio. Mosè era stato chiamato sul monte Sinai per incontrare il Signore e per ricevere il Decalogo (Es capp. 19-20), la Legge per il popolo liberato dall’Egitto. Ora Gesù, dal monte, svela non una legge nuova e diversa, ma il vero senso della Legge stessa. Poco più aventi sentiremo Gesù dire:

Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. Mt 5, 17

Le beatitudini possono essere quindi considerate come i ‘nuovi comandamenti’, o meglio, una visione più profonda e originaria non solo della Legge, ma del cuore stesso di Dio.

Le beatitudini sono nove, delle quali l’ultima è un po’ a sé. Delle prime otto la prima e l’ultima condividono con le altre la struttura ‘beati…perché’, ma hanno la seconda parte riferita al presente, mentre nelle altre è declinata al futuro.


Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Ci sono due orizzonti sempre presenti nelle parole di Gesù: l’orizzonte attuale e quello eterno. Se vogliamo la nostra vita attuale è il ‘nostro regno’, a cui Gesù aggiunge la prospettiva di quello che chiama ‘il regno dei cieli’ (o regno di Dio). Le prime parole pubbliche di Gesù nel vangelo di Matteo erano state:

“Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Mt 4, 17

Ora, con il discorso della montagna, Gesù inizia a spiegare cosa significhi convertirsi. Significa far entrare la prospettiva del regno di Dio nella nostra visione della vita. Non è una sostituzione, ma un’apertura di orizzonte. Il regno dei cieli non è qualcosa di futuro, ma qualcosa che si compie nel futuro iniziando da ora. In un passo del vangelo di Luca Gesù lo spiega così:

Interrogato dai farisei: “Quando verrà il regno di Dio?”, Gesù rispose: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!”. Lc 17, 20-21

Il Regno di Dio inizia qui e ora soprattutto perché la presenza di Dio, la sua Parola, la sua azione, attraverso l’incarnazione di Cristo diventano qualcosa di attuale, che si realizza già adesso. Ma cosa bisogna fare, cosa bisogna essere qui e ora per far parte di questo regno? Secondo le beatitudini che stiamo esaminando, per prima cosa bisogna essere poveri in spirito. Per cogliere il significato di questa espressione ci può essere di aiuto questo testo della prima lettera ai Corinzi:

Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore. I Cor 1, 26-31

Dunque essere poveri in spirito significa essere e riconoscersi limitati, non sapienti, non nobili, non potenti. Mi verrebbe quasi da sostituire nobili con famosi (le classi sociali ormai sono diventate le classi social, che hanno tra le loro caratteristiche la tendenza ossessiva alla visibilità). Chi è sapiente, potente, nobile o famoso corre il rischio di voler fare da solo, anche in rapporto a Dio. Non è ovviamente sempre così, ma certo la tentazione può essere forte. E quando riteniamo di saper e poter fare da soli …Dio non può più fare nulla. Ma se Dio non può fare nulla allora il suo regno non ha più alcuna presenza e la sua azione non ha più alcuna efficacia. Ecco perché è così importante permettere la realizzazione, o almeno l’inizio della presenza del regno dei cieli, già qui e ora.
Introdotti dalla prima, possiamo forse cogliere meglio il significato delle beatitudini successive.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Queste beatitudini hanno come caratteristica comune un orizzonte futuro, collegato a una situazione attuale. Non sono una scappatoia, una fuga da questo mondo nell’attesa di una ricompensa divina in paradiso (anche se questa è stata promessa). Sono un modo ‘sottosopra’ di vedere le cose. Danno un senso persino alle cose che più sono difficili e pesanti, se viste solo dal punto di vista umano. Il nostro essere di oggi, le nostre azioni quotidiane, hanno significato oggi perché hanno compimento nell’eternità. Senza l’orizzonte eterno il nostro essere miti, misericordiosi, o pacifici mantengono la loro importanza, ma come abbiamo visto tante volte rischiano di essere delle velleità, dei sogni, dei desideri spesso irrealizzabili e ancora più spesso derisi. E in ogni caso mai compiuti del tutto, perché impediti da troppi ostacoli. L’orizzonte eterno introdotto da Gesù li rende e ci rende più sereni nel praticarli: realistici nel non pretendere di realizzarli subito completamente e nello stesso tempo tranquilli nell’affidarli a Dio che può portarli a compimento in tempi non raggiungibili da noi.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

L’ottava beatitudine riprende nella seconda parte il contatto con l’oggi, con la realizzazione attuale del regno dei cieli, aprendo un nuovo discorso che sfocerà nell’ultima beatitudine: quello della persecuzione.


Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

L’ultima beatitudine credo faccia un po’ da riassunto, introducendo un riferimento più personale che nelle altre non c’è. Le prime otto sono tutte in terza persona plurale. Con la nona Gesù si rivolge direttamente agli interlocutori, alle persone che gli stanno davanti: beati voi. Beati sarete voi se saprete essere in una di queste situazioni, che vi mettono in gioco sia davanti a voi stessi che davanti agli altri.
Non c’è niente da fare, allora come oggi e come sempre essere nel pianto, miti, affamati e assetati  di giustizia, misericordiosi, puri di cuore o operatori di pace, non fa parte delle cose più ambite e desiderate dall’uomo. Non sono certo questi i modelli che ci presentano la pubblicità o le mode. Ma la pubblicità e le mode non fanno certo riferimento né al regno dei cieli né all’eternità.

Un’ultima considerazione: le beatitudini potrebbero essere considerate anche come l’identikit di Cristo. E’ certo lui che ha saputo metterle in pratica, sia nella sua vita terrena che nel suo orientarla continuamente all’eternità. Dovrebbero a poco a poco diventare anche il nostro identikit. Buona Quaresima!


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