Lc 15, 1-32
Si avvicinavano a
Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi
mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Come molte altre volte
nei vangeli, due categorie di persone si incontrano, o si scontrano: peccatori
e pubblicani da una parte, scribi e farisei dall’altra.
Ed egli disse loro questa parabola: “Un uomo aveva due figli.
Il parallelo tra i due
gruppi di persone e due figli della parabola credo sia abbastanza evidente. Sarà
interessante vedere come Gesù evidenzierà le caratteristiche di ciascuno e le
metterà in relazione. Anticipo già che, oltre a riferire i comportamenti e le
caratteristiche dei due figli di cui parla la parabola ai due gruppi citati
prima, potremo anche mettere in gioco noi stessi e chiederci a quale di questi
figli somigliamo di più, oppure siamo stati somiglianti in alcuni momenti della
nostra vita.
Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di
patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi
giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un
paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.
È molto interessante
vedere quanti filoni di riflessione si sviluppano da questa breve descrizione
del figlio più giovane:
È il più giovane. Generalmente
è dei più giovani l’atteggiamento di ribellione alla famiglia o all’autorità
sia sociale che religiosa. Allora ciascuno di noi può forse intravvedere nel
comportamento di questo ragazzo degli atteggiamenti propri avuti in età
giovanile. Anche se non tutti abbiamo preso decisioni così drastiche di
allontanamento, dei sentimenti di insofferenza, di contrasto o di rifiuto
possiamo forse riconoscerli. In particolare riguardo alla fede credo che il
percorso di allontanamento di questo primo figlio lo si possa vedere in
moltissimi giovani. E forse anche in qualcuno di noi.
L’evoluzione e lo
sviluppo dei comportamenti di questo figlio, pur descritto in poche righe (e
pur essendo questa una parabola, non un evento reale), deve aver richiesto
tempi molto lunghi. Non è che se ne sia andato il lunedì e tornato tre o
quattro giorni dopo. Lo sviluppo anche solo del rifiuto e della ribellione dura
mesi, anche anni, nella nostra vita reale. Prima c’è insofferenza, accettata
per un po’ e per un certo altro periodo sopportata e magari combattuta. Poi si
forma la decisioni di andarsene. Ma magari passa ancora del tempo prima di
decidersi. Poi c’è lo strappo. Poi l’allontanamento. E poi la fase di vita
autonoma e indipendente che può certamente durare per un tempo lunghissimo. Anni
o decenni. Almeno finchè non mancano le risorse. Tra parentesi, Gesù non parla
mai di denaro. Usa i termini ‘patrimonio’, ‘sostanze’, ‘cose’. Anche questa
scelta apre degli orizzonti interessanti. Questo ragazzo non ha solo denaro. Ha
anche, come tutti noi, energie, capacità, talenti, forza, intelligenza, la vita
stessa. Tutto questo e non solo il denaro è il suo patrimonio. Facendo subito
un paragone spirituale con noi stessi, ciascuno di noi dal Padre, Dio, ha
ricevuto tutto questo. E in genere, finchè questi beni sono operativi e
funzionano (salute, forza, intelligenza…), ce li gestiamo in autonomia e magari
anche in totale indipendenza da Dio. Quando va tutto bene è più facile fare gli
indipendenti, anche nella fede. Ma quando cominciano a mancare…
Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed
egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno
degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i
porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma
nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di
mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da
mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono
più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”.
Si alzò e tornò da suo padre.
Anche la fase del ripensamento e del ritorno
richiede tempi lunghi, a volte lunghissimi. È molto interessante questo sviluppo
temporale, se riferito non solo noi stessi ma anche in particolare alla
comunità cristiana, alla chiesa. Non dimentichiamo il punto di partenza della
parabola: i farisei che brontolano perché Gesù sta con i peccatori. Come vedremo
nel figlio più grande, i giudizi e i pregiudizi a volte sono forti. E anche
motivati. Ma spesso ci dimentichiamo che il cammino delle persone richiede
tempo. Non possiamo, neanche nel percorso di fede (soprattutto in quello,
direi), pretendere che gli altri siano come li vorremmo e neppure che capiscano
tutto subito e migliorino di colpo. Allora nell’immagine di questo figlio più
giovane e nella sua lunga evoluzione possiamo vedere sia nelle nostre famiglie
sia nelle nostre comunità innumerevoli situazioni: C’è
chi, come il fratello maggiore, è o sembra più rassicurante, fedele, obbediente
al Padre. C’è chi, specialmente dei più giovani, sta scalpitando, è in fase di
insofferenza, di rifiuto, di ribellione, anche se continua a farsi vedere,
magari sempre più di rado. C’è chi (sono tanti!) si è già ribellato, se n’è già
andato. C’è chi è lontanissimo e sta benissimo così, c’è magari chi sta
ripensando dentro di sé, ma intanto continua a essere lontano, sia nei
comportamenti che nella fede. C’è chi sta tornando piano piano…
Ebbene, la cosa interessantissima di
questa parabola è l’atteggiamento del padre:
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse
incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
L’atteggiamento del
padre è bellissimo, e ricorda nei termini utilizzati il buon samaritano. Ma ha
dovuto aspettare che il figlio tornasse.
Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non
sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: Presto,
portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al
dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e
facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era
perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
È il padre che sa dare
un significato di unità alla situazione del figlio, che da solo è riuscito solo
a fare un gran casino. Notare tra le altre cose che è tornato non perché la consapevolezza
delle sue scelte sbagliate si è evoluta e lo ha portato a una decisione
profonda e pensata. No, torna perché ha fame e a casa sua si mangia.
Ebbene, in tutto
questo il Padre non ha mai smesso di aspettarlo. Non ha mai smesso di
considerarlo suo figlio. Mentre l’altro, il maggiore, come vedremo, è molto critico
e risentito, il Padre ‘lo vide, ebbe
compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò’. Sempre più paradossalmente,
il Padre ‘ama di più’ il figlio peggiore che non l’altro. Non è vero, ma certo
sentimenti, comportamenti e atteggiamenti del padre verso questo figlio sono
molto espressivi. È il continuo amore del Padre che ha permesso al figlio
giovane di tornare. Se avesse percepito un rifiuto, se il Padre gli avesse
detto ‘se esci da qui non tornare più perché non sei più mio figlio’, il figlio
non sarebbe tornato. Il ragazzo è tornato perché il padre non ha mai smesso di
essere il Padre.
Ecco, questa è la
misericordia di Dio.
Questa dovrebbe essere
anche la nostra misericordia, specialmente verso chi se n’è andato. E magari
sta benissimo dov’è. E magari fa delle cose bruttissime e cattivissime.
Ed ecco che ora arriva
il figlio maggiore:
Il figlio maggiore … si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora
uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti
anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un
capretto per far festa con i miei amici. ora che è tornato questo tuo figlio,
che ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello
grasso.
Ovviamente si indigna.
L’avremmo fatto anche noi. Però, però, però…nel figlio maggiore si intravede la
figura dei farisei e degli scribi a cui Gesù sta parlando. E questo dovrebbe
darci molto da pensare. E la nostra immagine rischia di somigliare tanto alla
loro. Di noi che siamo quelli bravi, quelli che fanno le cose per bene e che
non disobbediscono mai (beh, quasi mai). Noi che così facilmente giudichiamo
quelli lontani, quelli che ‘divorano le proprie sostanze con le prostitute’,
dovremmo fermarci molto a riflettere su questa parabola.
Perché se il padre è
Dio, allora dovremmo anche notare che il nostro atteggiamento, i nostri giudizi,
le nostre impazienze verso i ‘lontani’ …rendono lontani da Dio anche noi. E ben
poco somiglianti a lui. E come nella parabola finisce per succedere che mentre
gli altri, i ‘peggiori’ tornano nella casa del Padre, noi che nella casa ci
illudevamo di esserci sempre stati …ci rifiutiamo di entrare.
Non dimentichiamo che
la festa, il banchetto nella cultura biblica e evangelica è l’immagine del
banchetto eterno, del paradiso stesso. E nella parabola il figlio ‘peggiore’
entra nella festa, in paradiso, mentre l’altro, il ‘migliore’ resta fuori. Ma l’estremo
del paradosso è che resta fuori dal paradiso non perché è stato cacciato, ma perché
non vuole entrare lui! Come era già uscito ad
accogliere il primo, il padre deve uscire anche per il secondo, addirittura a
supplicarlo: per favore vieni in paradiso.
Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è
tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto
ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
La chiave che permette
di vedere le cose come le vede Dio non è la valutazione dei comportamenti delle
persone (siamo noi che vediamo solitamente così le cose), ma la continua
affermazione da parte del Padre che entrambi i protagonisti della parabola sono
suoi figli. Qualunque cosa facciano, qualunque disastro combinino, a qualunque
distanza siano da lui. Questo non significa che per Dio va bene tutto e che
tutti i comportamenti siano uguali, ma che oltre il giudizio sui comportamenti
c’è un orizzonte più vasto, più alto e più completo. Orizzonte in cui vive Dio
e che non frequentiamo troppo poco, pur potendo conoscerlo dopo la rivelazione
portata da Cristo.
Ed eccoci all’ultima
osservazione. Quella che permette a noi, se lo vogliamo, di entrare nella testa
e nel cuore del Padre e tirarne le conseguenze. Il figlio maggiore, pur nella correttezza formale dei suoi
comportamenti (‘io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando’) si è dimenticato
della realtà che per il Padre è invece fondamentale: lui è figlio, così come l’altro.
È interessante notare
come il maggiore non si rivolga mai al genitore chiamandolo ‘padre’, e al
minore chiamandolo ‘mio fratello’. Il minore, anche nei momenti peggiori
(quando comunica la sua volontà di andarsene, quando sta a pascolare i porci…)
non dimentica mai il suo essere figlio. Si rivolge sempre al genitore
chiamandolo ‘padre’. Il maggiore no. Questa parola non la pronuncia mai. Allora
tocca al padre, come già aveva fatto con l’altro, uscire e andare verso di lui
a cercarlo. E alla protesta del maggiore, il Padre risponde mettendo subito in
chiaro come vede lui le cose: ‘Figlio, tu sei sempre con me…’. Il maggiore non
lo chiama ‘padre’, ma il padre lo chiama ‘figlio’. Come per dire ‘ricordati che tu non sei mio servo,sei mio
figlio, e anche lui lo è’. Ma non finisce qui. Mentre protesta, il maggiore,
parlando del minore non lo chiama ‘mio fratello’, ma ‘questo tuo figlio’. Dimenticandosi
della sua identità verso il Padre, il maggiore si è perso anche il suo vero
rapporto con il minore. Allora ci pensa il Padre a fare anche questo:
bisognava far festa e
rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita
L’ordine delle cose
ristabilito dal Padre è: il più giovane è mio figlio, tu che sei il maggiore
sei mio figlio. Quindi voi due siete fratelli.
Due piccole appendici ancora:
La parabola non dice
se il fratello maggiore è poi entrato.
Se il figlio giovane
tornando avesse trovato il fratello più grande invece del padre, che sarebbe
successo?