Lc 14, 1.7-14
Avvenne
che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed
essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come
sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non
metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e
colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora
dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a
metterti all’ultimo posto,
Nel meditare il vangelo di questa domenica non ho potuto fare a
meno di tener presenti gli eventi di questi giorni. Ancora una
volta tutti noi credenti, penso, ci siamo trovati di fronte alla domanda: ‘Perché,
Signore?’. Un terremoto non ha neppure la scusante della cattiveria umana, come
può averla un attentato. Un terremoto non è colpa di nessuno. E ancora una
volta non abbiamo altra risposta che questa:
Un Dio che non ci toglie dai guai ma si lascia lacerare come
noi. Che non si è messo al sicuro, non è scappato, non si è costruito un rifugio
antisismico per sè e per gli amici. Si è lasciato invitare anche lui e si è messo all’ultimo posto,
quello delle vittime.
Disse
poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non
invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini,
perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al
contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e
sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua
ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Una seconda riflessione, collegata con il vangelo di ieri, mi è
venuta dopo un incontro avvenuto in questi giorni. Un uomo è venuto a
chiedermi come fare per mandare vestiti ai terremotati. Gli ho detto che, come fatto altre volte, coordiniamo tutti gli interventi tramite la Caritas diocesana, che è
in contatto con le Caritas delle zone interessate. * Gli ho detto tra l’altro che dalla Protezione
Civile è stata fatta la richiesta di non inviare cibo o vestiti per ora, perché
le disponibilità sono sufficienti. Ma non c’è stato nulla da fare. Voleva
mandare ad ogni costo dei vestiti e se n’è andato via risentito dicendo che si
sarebbe rivolto ad altri.
Temo che a volte, anche se
apparentemente pensiamo agli altri, in realtà stiamo pensando ancora a noi, alle nostre esigenze e al nostro punto di vista. Questo incontro mi ha fatto ricordare (noi anziani facciamo sempre così) i giorni della guerra in Kosovo, quando al campo profughi di Valona ci arrivavano containers interi di pasta dall'Italia. Pasta che i profughi non riuscivano a mangiare perchè non erano abituati. La pasta certamente piace a noi italiani (ed è anche facile da conservare e inviare, quindi è la prima cosa a cui si pensa), ma forse bisognava anche pensare che erano loro che dovevano mangiarla. Ricordo anche cataste di vestiti sporchi o inutilizzabili, scatoloni interi di cappotti e maglioni pesanti inviati a giugno e i medicinali scaduti.
E' vero che la gran parte degli aiuti erano utilizzabili e comunque inviati in buona fede. E' anche vero che quando si ha bisogno ci si adatta a prendere quello che arriva, ma non dovrebbe essere questo il criterio di chi invia gli aiuti. Certo però che mandare un camion di carta igienica, se è stata richiesta, è meno gratificante che mandarne uno di vestitini per bambini, anche se non ce n'è bisogno. Come è meno gratificante aspettare un mese a mandare aiuti, quando nessuno ci penserà più e il sipario mediatico sarà calato, che rispondere a un impulso emotivo immediato. Ma rispondere a un proprio impulso rischia di essere appunto una forma di egoismo. Mascherato magari da solidarietà, ma sempre egoismo è.
Credo che il contraccambio di cui parla il vangelo
di questa domenica lo si possa vedere anche così: faccio qualcosa per gli altri così
sto bene io. E l'indicazione di Gesù è chiarissima: evitalo proprio il contraccambio, così sei più sicuro di aver fatto qualcosa di veramente gratuito.
* Il criterio
che viene utilizzato dalla nostra Caritas, e credo anche dalle altre, è quello della continuità. Tutti, spinti dalle immagini
dei telegiornali e dalla propria reazione emotiva, vogliono fare qualcosa
adesso. Ma ahimè le emozioni durano poco, e anche le notizie dei telegiornali,
e tra un mese, due mesi, sei mesi nessuno ne parlerà più mentre la situazione
sul posto rimarrà più o meno la stessa (non si ricostruisce in una settimana). La
scelta che è stata fatta è stata quella di assicurare per quanto possibile e per
quanto necessario l’intervento immediato ma anche i fondi e gli aiuti necessari
per il dopo.