giovedì 17 settembre 2015

Vade retro!



Mc 8, 27-35

Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo

Domenica scorsa abbiamo assistito alla guarigione del sordomuto, e facevo notare che in quel sordomuto siamo presenti anche noi, nella nostra fatica ad ascoltare Dio, e di conseguenza a parlarne in modo corretto.
Tra l’episodio del sordomuto e quello narrato nel vangelo di questa domenica, Marco descrive alcuni altri fatti su cui vale la pena di soffermarsi almeno un momento:
-          il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci, a cui segue una richiesta da parte dei farisei di un segno, segno che Gesù nega.
-          Una discussione con i discepoli che si preoccupano del pane proprio dopo che Gesù ha dimostrato che non è di quello che devono preoccuparsi.
-          La guarigione del cieco, che ho già citato nel commento del vangelo di domenica scorsa, perché speculare nel suo svolgersi con la scena del sordomuto.
Riporto qui le parole di Gesù dopo la moltiplicazione dei pani e pesci perché sono molto significative.

«Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?». Mc 8, 17

Ho evidenziato le parole che riassumono, a mio avviso, tutto quello che sta accadendo in questa successione di eventi: Gesù sta facendo notare ai suoi che sono ciechi e sordi. E finchè lo saranno non sapranno vedere le cose come sono veramente, non potranno quindi né imparare né vedere la strada. E a proposito di strada…

per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».


Cominciamo a capire quali sono le conseguenze del non vedere e non udire: alla domanda ‘chi è Gesù?’ il sondaggio rivela molte risposte, tutte diverse e tutte sbagliate. Chi non ha capito, che è ancora sordo e cieco, anche se ha voce per rispondere, non sa però rispondere nel modo giusto. Al sordomuto, dopo l’intervento di Gesù

‘si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente’

Alla gente a cui è stata rivolta la domanda sull’identità di Gesù il nodo non è ancora sciolto, non sono in grado di parlare ‘correttamente’.

Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo».

Pietro risponde correttamente alla domanda di Gesù. Perché? Perché, nonostante i difetti e i limiti che ha, non ha solamente incrociato Gesù per un momento, non ne ha solo sentito parlare, come presumibilmente aveva fatto la folla a cui era stato rivolto il sondaggio. Pietro Gesù lo ha seguito, è stato con lui ‘in disparte’, lo ha frequentato, ha accettato di seguirlo, e per fare questo ha lasciato molte cose. Pietro ha ascoltato e ora conosce, e quindi sa riconoscere chi è davvero chi è Gesù.

E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

Ancora una volta, come già abbiamo visto nell’episodio del sordomuto, Gesù ordina di tacere. Proprio adesso che saprebbero dire le cose giuste. Ma questo per Gesù basta. L’episodio di Cesarea ci rivela che ora gli apostoli devono fare un passo in più. Loro compito non sarà quello di fare una campagna pubblicitaria a Gesù, ma di annunciarlo. Per pubblicizzarlo basta raccogliere informazioni e presentarle bene. Per annunciarlo occorre averlo conosciuto, aver passato tempo con lui, aver interiorizzato le sue parole e la sua persona, facendolo diventare vitale. E questo richiede tempo, molto tempo. Bisogna adesso continuare ad ascoltare cosa Gesù ha da rivelare. Riconoscerlo come Messia e poi non starlo a sentire sarebbe un’assurdità. Una volta compreso che Gesù è il Cristo, bisogna lasciarlo parlare e agire. E qui Pietro inciampa.

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».


Di questa espressione di Gesù è rimasta nel linguaggio parlato la versione latina, ‘vade retro!’, intesa nel senso di ‘vattene!’, ‘allontanati!’. Ma la traduzione italiana riprende meglio il senso originario: Gesù non ordina a Pietro di allontanarsi, di stare indietro, ma di tornare dietro a lui. Pietro infatti sta dando delle indicazioni a Gesù su cosa sia meglio (secondo Pietro) fare. Certamente il rimprovero di Pietro nasce da affetto, Pietro non vuole che Gesù soffra e sia ucciso. Ciononostante Pietro passa dalla parte di satana, del nemico di Gesù, cioè appunto dalla parte di chi inverte l’ordine di marcia, inverte i ruoli: invece che Gesù davanti a guidare e Pietro dietro a seguire, Pietro (pur con tutto l’affetto e la buona fede) vuole mettersi davanti, al posto di Gesù.
Quando noi parliamo di male, di peccato, spesso ci facciamo sviare dal concetto umano di male, che corrisponde a qualcosa di violento, di cattivo, di dannoso perché fa soffrire. Certamente un criterio per valutare il male è anche questo, ma c’è un altro tipo di male, altrettanto dannoso se non di più, che però a volte ci sfugge. Tornando a noi e alle parole di Gesù, cosa c’è di male in Pietro che non vuole che Gesù muoia? Non solo non vediamo del male, ma potremmo affermare che Pietro ha una intenzione di bene nell’intervenire. Eppure Gesù lo chiama Satana. Parola che messa in bocca a Gesù assume un peso e un significato terribile. Cos’ha fatto di male Pietro? Di male nel senso umano, nulla. Però sta impedendo a Gesù di svolgere il suo compito di salvezza, che Gesù sa dipendere dalla sua morte in croce. Il male in questo caso non è un gesto di violenza, ma paradossalmente un gesto di affetto. Ma affetto umano, che in questo caso ostacola l’intervento divino. Il male sta anche (e soprattutto) nel rovesciamento dell’ordine gerarchico tra Dio e l’Uomo. Quando l’uomo dice a Dio cosa deve o non deve fare lo schema salvifico viene violato, l’uomo si mette al posto di Dio. Ecco il peccato originale, che richiama chiaramente la ribellione dell’Eden. Non è un peccato di violenza fisica, che causa dolore. Ma è un peccato che distrugge l’identità di Dio e quindi anche quella dell’uomo. Se non è il peggiore dei peccati questo…
Ecco che l’abbinamento peccato-satana, quello della Genesi, rispunta fuori.

Il serpente disse loro: ‘…si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male’. Gen 3,5

Diventare come Dio significa ritenersi autoreferenziali, autoassolutori, autosalvifici. Infatti Gesù continua…

Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».


giovedì 10 settembre 2015

Non vedo, non sento, non parlo



Mc 7, 32-37

Portarono da Gesù un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano.

Un altro ‘segno’ (come Giovanni chiama i miracoli). Sottolineo questo termine, perché è fondamentale nel capire il significato di quei gesti miracolosi che a volte Gesù fa. Quando si parla di miracoli il nostro immaginario culturale e anche religioso ci porta spesso fuori strada. O meglio, ci porta a soffermarci sull’eccezionalità dell’evento (se ne parla, se ne fa pubblicità, se ne scrive o ci si stupisce) oppure sull’utilità che potrebbe avere per noi (specialmente se abbiamo dei problemi, delle difficoltà da affrontare oppure dei problemi di salute). In altre parole, finiamo sempre per valutarli secondo la nostra necessità e secondo le nostre esigenze. E da qui parte la caccia ai miracoli, alle guarigioni e agli eventi eccezionali che così spesso caratterizza una certa religiosità popolare.
In realtà, se guardiamo bene gli eventi dei vangeli, anche i miracoli stessi, ci accorgiamo che, oltre al fatto che di miracoli ce ne sono tutto sommato pochini, man mano che la vita di Gesù procede verso la sua conclusione di miracoli ce ne sono sempre di meno, fino a sparire del tutto.
E’ una constatazione curiosa: inizialmente Gesù diventa famoso proprio perché fa miracoli, ma invece di continuare ad attirare a sé con questi gesti eclatanti, smette di farne, con il risultato che la gente non lo segue più. Noi avremmo fatto molto diversamente. Le cose che lui fa, quindi anche i miracoli, sono sempre dei segnali, delle indicazioni. Non hanno lo scopo di risolvere dei problemi, anche se un po’ lo fanno, perché se fosse quello il loro scopo Gesù avrebbe dovuto guarire tutti i sordomuti, non solo uno. E tutti i ciechi, tutti gli zoppi, tutti i malati…
Ogni gesto di Gesù è un segno che indica la presenza di Dio nel mondo, ma non la piega alle nostre esigenze e alle nostre aspettative. Anche i gesti di Gesù, non solo le sue parole, sono delle rivelazioni, delle cose che Dio ci sta dicendo. E siccome le parole di Dio hanno come scopo principale non quello di assecondare le nostre curiosità ma quello di rivelarci chi sia Dio e chi siamo noi, anche i gesti, i segni e i miracoli non servono ad accontentare i nostri desideri ma a indicarci qualcosa di Dio e di noi.


In questo episodio non c’è un solo sordomuto, ce ne sono almeno tre.
Il primo è l’uomo che viene portato da Gesù. 
Ma nei vangeli ogni uomo che incontra Gesù diventa segno dell’Uomo che incontra Dio.
Il sordomuto quindi è anche ciascuno di noi. La maggior parte di noi ci sente bene e sa parlare, ma queste capacità sono quelle fisiche, biologiche. Gesù è venuto a svelare anche quella parte di noi che non è solo fisica, materiale, ma anche quella che a lui interessa di più che è quella spirituale, interiore, divina, che spesso dimentichiamo e lasciamo da parte, impegnati come siamo ad occuparci delle nostre necessità materiali e fisiche. Che sono certo importanti, ma non sono le sole che fanno parte di noi. Certamente siamo udenti e parlanti fisicamente. Ma spiritualmente? Se proviamo a parlare di cose grandi, eterne, divine, ci accorgiamo che non sappiamo cosa dire. Siamo muti o quasi. Non sappiamo esprimerle, oppure, proprio come i sordomuti, ci esprimiamo male, facciamo fatica, non siamo chiari. Perché? Perché siamo sordi. Non siamo capaci di ascoltare Dio, di ricevere la sua presenza e le sue parole. E quindi non sappiamo dire niente di lui. Come si fa a dire chi è Dio, cosa vuole, cosa pensa, cosa dice? Per un cristiano dovrebbe essere facilissimo, o almeno non troppo difficile. Dio ha parlato, ha detto un sacco di cose, cosa vuole, cosa pensa, cosa vive. Se lo abbiamo ascoltato, se non siamo stati sordi alle sue parole, dovremmo essere dei buoni parlatori di Dio. Invece ahimè siamo spesso sordi e quindi muti. Ecco allora che quello che avviene all’uomo del vangelo diventa un segno, una indicazione per noi per capire come farsi guarire dalla nostra sordità e dal nostro mutismo.

Lo prese in disparte, lontano dalla folla,

La prima cosa che Gesù fa è allontanare il sordomuto dalla folla. La presenza della folla non impedisce certo a Gesù di agire, ma impedisce a noi di sentirlo. Quella folla di cose, persone, impegni, suoni, musica, preoccupazioni, corse, che riempie la nostra giornata è il primo vero ostacolo che dobbiamo togliere. Finchè ci saremo immersi sarà molto difficile che, anche se Dio ci parlasse, riusciremmo a sentirlo. Quindi per sentire la voce di Dio bisogna abbassare il volume di tutte le altre.

gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua;

Gesù tocca l’uomo. In questo caso non agisce a distanza, ma entra in contatto fisico con l’uomo: gli mette il dito negli orecchi e gli tocca la lingua. Un episodio simile, con uguali gesti è riportato da Marco:

Gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo. Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. Quegli, alzando gli occhi, disse: “Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano”. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. E lo rimandò a casa dicendo: “Non entrare nemmeno nel villaggio”. Mc 8, 22-26

Un cieco portato da Gesù, lui che lo allontana dalla folla, la saliva sugli occhi, l’ordine di non incontrarsi con nessuno. La differenza è che in questo testo di Marco il protagonista è un cieco. Ma la vista e l’udito sono i nostri canali principali di percezione del mondo che ci circonda. Se non vediamo e non sentiamo, come possiamo comunicare? Ma soprattutto, trasponendo questi meccanismi alla nostra spiritualità, come possiamo comunicare qualcosa di Dio se non abbiamo ascoltato e visto niente di lui?

Come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunci? Rm 10, 14-15

Senza una esperienza ravvicinata di incontro con Cristo l’annuncio della fede diventa una pura formalità: si rischia di parlare di qualcosa di cui non si ha esperienza, di ripetere una lezione imparata a memoria, di comunicare qualcosa che non si è vissuto.


guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

Se occhi e orecchie sono chiusi non siamo in grado di aprirli da soli. Occorre un intervento. Nell’ottica spirituale occorre l’intervento di Cristo stesso. Se lui non ordina l’apertura i nostri sforzi saranno vani. Nel testo c’è un particolare però che rende questo intervento particolarmente rilevante (se già non lo fosse per la guarigione stessa): non solo il muto può parlare, ma parla correttamente. Non solo ha la voce, ma sa anche come usarla, cosa che in sé non è automatica: anche un bambino ha la voce, ma deve ancora imparare a formulare le parole e a usarle in modo appropriato. Virando sempre verso il livello spirituale, solo l’incontro con Cristo, diretto e di persona, se vogliamo anche fisico, permette di parlarne ‘correttamente’. Chiunque potrebbe memorizzare delle informazioni su Gesù e farne il tema di una conferenza, di una lezione o di un libro. Ma solo che lo ha incontrato personalmente, lontano dalla folla, ed è stato toccato da lui negli orecchi, negli occhi e sulla lingua, può comunicare correttamente questa esperienza di incontro. Parlare di Gesù non è come parlare con Gesù. Anche un ateo può parlare di Gesù, ma solo chi ha sperimentato l’incontro personale con lui, solo chi è stato da lui toccato e guarito può parlare di Gesù ‘correttamente’.

E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Ecco il terzo sordomuto: la folla che sta intorno a Gesù e che lo vede compiere il segno. Prima sono tutti muti, tutti zitti. Prima del miracolo non dicono una parola. Poi non riescono più a stare zitti, neppure se Gesù glielo ordina.

Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!