lunedì 2 febbraio 2015

Spiriti

Mc 1, 21-28

Gesù, entrato di sabato nella sinagoga di Cafàrnao, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.

Gesù ha autorità. Infatti lui parla da autore, non solo da ‘ripetitore’ come gli scribi. Non è una valutazione negativa nei loro confronti, ma una semplice constatazione. Il compito degli scribi è quello di studiare e conoscere la Scrittura, non di scriverla. Gesù invece sta ‘scrivendo’ la Scrittura. Nel momento in cui Gesù parla e opera i vangeli (intesi come libri) non ci sono ancora. E’ lui il vangelo. Il Verbo (Lògos in greco, parola) si sta facendo carne. Altri scriveranno di lui e la loro scrittura diventerà Scrittura. Anche delle Scritture precedenti, quelle che chiamiamo Antico Testamento, Dio era l’autore, pur passando attraverso il pensiero e la cultura degli scrittori biblici, autori anch’essi e non solo copisti. Ma con Gesù le cose cambiano, in lui Dio è presente e parla in prima persona, non più attraverso patriarchi e profeti.

Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro

Ecco uno dei primi momenti delicati del vangelo di Marco. Delicati nel senso che tirano in ballo termini che possono generare perplessità e confusioni. Cos’è uno spirito impuro? E più in generale, cosa sono gli spiriti di cui si parla nel Vangelo e nella Bibbia? Quando si parla di spiriti il rischio di finire nel gran calderone di spiritismi vari, fantasmi e mysteri di cui il web è pieno (e anche la testa della nostra gente) è altissimo. 
Ieri mattina, durante l’omelia, per spiegare come evitare questa confusione mi sono rivolto ai bambini (se capiscono loro capiscono, spero, anche i grandi) e indicando Alice ho chiesto loro: come faccio a sapere cosa pensa Alice? Posso fare due cose: una sbagliata e una giusta. La prima è dire ‘secondo me Alice pensa alla pastasciutta che mangerà a pranzo’. Sarà così? Boh. Come faccio a saperlo? La cosa migliore da fare è chiederglielo: ‘Stai pensando alla pastasciutta?’. La risposta è stata ‘no’. 
Ecco, con alcuni aspetti della nostra fede corriamo lo stesso rischio: ci facciamo una nostra idea. E ciascuno ha la propria. E vengono fuori mille idee confuse. A volte è così anche con Dio, decidiamo noi cosa pensa, cosa vuole e cosa dice. Solo che ciascuno pensa cose diverse. Ma la cosa migliore è chiederlo a lui, se possibile. E noi abbiamo le sue parole, la sua rivelazione, le sue indicazioni. Con queste possiamo andare molto più sul sicuro.


 
Per la cultura ebraica ‘spirito’ è tutto ciò che non è fisico. Non necessariamente si tratta di esseri o entità con personalità autonoma distinta dalla nostra.

Un esempio: Maria, nel Magnificat dice:

L’anima mia magnifica il Signore

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore. Lc 1, 46-47

Non vuol dire che Maria ha un’anima e poi anche uno spirito dentro di sé. Semplicemente significa che la sua parte profonda, interiore, personale esprime la sua esultanza. Il termine ‘spirito’ è, nel linguaggio biblico, molto generico: non definisce necessariamente entità soprannaturali.

il faraone si svegliò: era stato un sogno. Alla mattina il suo spirito ne era turbato. Gen  41, 7-8

Giosuè, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza… Dt 34, 9

Sansone bevve, il suo spirito si rianimò ed egli riprese vita. Gdc 16, 19

Anche noi, spesso, usiamo delle immagini per indicare qualcosa di indefinibile. Come ad esempio il termine ‘cuore’ per indicare i sentimenti. Se dico ‘mi hai spezzato il cuore’ non voglio dire che qualcuno ha preso un coltello e mi ha tagliato il muscolo cardiaco, ma che ha fatto o detto qualcosa che ha ferito i miei sentimenti.

Il termine ‘spirito’ nella cultura biblica è un termine generico per indicare tutto ciò che vive, sente, prova e pensa una persona. Noi occidentali, più analitici, distingueremmo tra sentimenti, intelletto, pensieri, mentalità o emozioni. Per la cultura mediorientale sono tutte realtà ‘spirituali’, cioè non materiali. Con il corpo (cervello, reazioni fisiologiche…) hanno un certo rapporto, ma prese singolarmente per esprimere ciò che stiamo provando assumono una propria realtà vissuta, seppure non analizzabile solo chimicamente e fisiologicamente.

Per semplicità potremmo tradure ‘spirito’ con ‘anima’ e dire che siamo fatti di corpo e anima (anche se non è del tutto corretto, quest’ultimo termine richiama già qualcosa di divino o almeno religioso). Come fa uno spirito, un’anima, a essere impura? Lasciandosi contaminare, sporcare dal male. Attenzione, non è uno sporcarsi accidentale, involontario, quello di cui si parla. Si tratta di una scelta o di una approvazione cosciente e attiva. Il vero peccato non è mai uno sbaglio o un difetto. E’ sempre una contaminazione voluta. Quell’uomo a Cafarnao è ‘posseduto’ dal male, cioè lo ha lasciato entrare in sé e ora non riesce più a liberarsene, ne è schiavo. Ha dentro di sé uno spirito impuro (come nelle citazioni fatte più sopra il faraone aveva uno spirito turbato e Giosuè era pieno di uno spirito di saggezza). Lo stesso termine ‘impuro’ nel linguaggio biblico indica qualcosa di contrario alla legge di Dio.

La vera rivelazione contenuta in questo episodio però non è questo ‘esorcismo’ che viene compiuto da Gesù, anche se forse è la cosa che ci colpisce. Il vero evento, la vera scoperta, la vera rivelazione è che da solo l’uomo non soltanto non riesce a liberarsi dal male che lo ha contaminato, ma neppure si rende conto di questa contaminazione, di questa impurità. Solo quando arriva Gesù questa percezione diventa possibile. L’uomo non è capace di individuare il male dentro di sé. Ha bisogno che arrivi Cristo, che lui faccia luce nella sua vita e gli permetta di vedere cose che prima non era in grado di vedere.

e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 

Bisogna distinguere e poi dividere lo ‘spirito impuro’ dall’uomo, il peccato dal peccatore, che pure lo ha commesso. E questa separazione avviene con strazio e grida. Non è mai un intervento facile, proprio perché il male è stato scelto, deciso, voluto, e liberarsene è difficile. Anzi, impossibile senza Cristo: ‘Sei venuto a rovinarci?’. Questa domanda richiederebbe una analisi molto approfondita, perché ogni cristiano, nel momento del suo primo incontro con il Signore, deve essersela sentita venir fuori prepotentemente. La prima impressione riguardo a Cristo, se si ascoltano attentamente le sue parole, non è di approvazione e di accoglienza, ma di sgomento e di rifiuto: preferiremmo indagare da soli nella nostra vita e nelle nostre scelte e decidere noi cosa fare e cosa non fare, cosa è bene secondo noi e cosa è male, cosa è giusto per noi e cosa sbagliato. La presenza di Cristo ci disturba, ci scuote, ci rovina, specialmente se siamo affezionati al male che abbiamo commesso.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Un ultimo particolare, il termine ‘timore’ viene usato nella Bibbia quando l’uomo si avvicina a Dio. Tanto che Dio stesso (Gesù lo fa spesso) si trova a dover rassicurare colui o coloro con cui sta parlando: ‘non temere!’. Quella della sinagoga di Cafarnao è una teofania, una manifestazione di Dio, come quella sperimentata da Mosè davanti al roveto ardente:

Mosè si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Es 3, 6


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