giovedì 2 gennaio 2014

migranti



Mt 2, 13-23

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre

Prima di dire qualcosa ancora sulla figura di Giuseppe, richiamo alla mente un altro testo, il cuore del vangelo che abbiamo ascoltato il giorno di Natale:

il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14)

Si fece carne. Carne come la nostra. Carne visibile, tangibile, con cui si può interagire, comunicare, confrontarsi. Ma come si concretizza questa carne? Ecco, la famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria con le loro situazioni a volte difficili da affrontare, ci aiuta a cogliere questa ‘concretizzazione’, questa incarnazione, questo ‘abitare in mezzo a noi’ di Dio.
Un primo motivo di interesse della figura di Giuseppe era stato già notato ed è la sua difficile situazione personale, di un uomo che deve accollarsi volente o nolente una responsabilità doppia, verso Maria e verso un bambino che non è suo. Questa ‘paternità a metà’ ha degli ulteriori risvolti. Per ben quattro volte in questo testo viene sottolineata la non paternità di Giuseppe: ‘prendi il bambino e sua madre’ … ‘prese il bambino e sua madre’… Non è suo figlio. È figlio di Maria ma non suo. È figlio di un altro. Un Altro con la A maiuscola, ma pur sempre un altro. Maria da parte sua deve certamente anche lei affrontare le sue perplessità e i suoi dubbi (li si vede chiaramente nell’episodio dell’annunciazione), ma in Giuseppe tutte queste difficoltà mi sembrano più vive, faticose. Maria ha in sé e partorisce un bambino che proviene direttamente da Dio, ma ne è pur sempre la madre. Giuseppe non ha neppure questo legame fisico. Eppure deve contemporaneamente rispondere alle proprie responsabilità di marito, ai propri doveri di custode e ai comandi di Dio.


Ed ecco che emerge un altro particolare proprio di Giuseppe: i sogni. Ne abbiamo già visto uno al momento della rassicurazione che Dio gli dà quando viene a sapere che Maria aspetta un bambino non suo. In questo testo i sogni sono il modo continuo con cui Dio comunica con Giuseppe. Sulle perplessità che suscita questa modalità espressiva di Dio si è già detto, ma c’è ancora un aspetto non secondario. Mentre per noi i sogni sono espressione indefinibile e assai inaffidabile della psiche umana, nella storia di Israele hanno invece un posto di tutto rispetto come strumento con cui Dio sceglie di comunicare con l’uomo. Questo però prima dell’arrivo di Cristo. C’è un testo di san Giovanni della Croce che esprime molto bene questo passaggio:

Il motivo principale per cui, nell'antica Legge, era lecito interrogare Dio ed era giusto che i sacerdoti e i profeti desiderassero visioni e rivelazioni divine, è che la fede non era ancora fondata e la legge evangelica non ancora stabilita. Era quindi necessario che si interrogasse Dio e che Dio rispondesse con parole o con visioni e rivelazioni, con figure e simboli o con altri mezzi d'espressione. Egli infatti rispondeva, parlava o rivelava misteri della nostra fede, o verità che ad essa si riferivano o ad essa conducevano. Ma ora che la fede è basata in Cristo e la legge evangelica è stabilita in quest'era di grazia, non è più necessario consultare Dio, né che egli parli o risponda come allora. Infatti donandoci il Figlio suo, ch'è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta e non ha più nulla da rivelare.
San Giovanni della Croce – Salita al monte Carmelo

Giuseppe è l’ultimo degli antichi a cui Dio parla ancora attraverso i sogni. È l’ultimo perché già con Maria Dio entra a far parte della nostra storia carnale, e da lei in poi l’uomo è consanguineo di Dio, e i sogni, ‘comunicazione a distanza’, non servono più. Potremmo dire che Giuseppe è l’ultimo degli antichi patriarchi e profeti, a cui Dio aveva preannunciato l’invio del Messia, ma ‘ancora da lontano’

Oracolo di chi ode le parole di Dio
e conosce la scienza dell'Altissimo,
di chi vede la visione dell'Onnipotente,
e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi.
Io lo vedo, ma non ora,
io lo contemplo, ma non da vicino:
Una stella spunta da Giacobbe
e uno scettro sorge da Israele. Num 24, 16-17

Dio aveva parlato molte volte attraverso il canale dei sogni.

Giacobbe fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco il Signore gli stava davanti e disse: "Io sono il Signore, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco. La terra sulla quale tu sei coricato la darò a te e alla tua discendenza. Gen 28, 10-13
Il faraone disse a Giuseppe: "Ho fatto un sogno e nessuno lo sa interpretare; ora io ho sentito dire di te che ti basta ascoltare un sogno per interpretarlo subito". Giuseppe rispose al faraone: "Non io, ma Dio darà la risposta per la salute del faraone!". Gen 41, 15-16
Ariòch condusse in fretta Daniele alla presenza del re e gli disse: “Ho trovato un uomo fra i Giudei deportati, il quale farà conoscere al re la spiegazione del sogno”. Il re disse allora a Daniele, chiamato Baltazzàr: “Puoi tu davvero rivelarmi il sogno che ho fatto e darmene la spiegazione?”. Daniele, davanti al re, rispose: “Il mistero di cui il re chiede la spiegazione non può essere spiegato né da saggi, né da astrologi, né da maghi, né da indovini; ma c'è un Dio nel cielo che svela i misteri ed egli ha rivelato al re Nabucodònosor quel che avverrà al finire dei giorni. Dn 2, 25-28

Con Giuseppe Dio comunica ancora con questo antico canale. Forse per rimarcare che  in lui non c’è ancora la carne di Dio, mentre in Maria sì.

fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».

La carnalità, la concretezza drammatica dell’abitare di Dio in mezzo a noi si concretizza anche nelle vicende che la famiglia di Gesù deve affrontare. Il bambino è in pericolo. Erode vuole ucciderlo. Erode il Grande doveva essere un uomo particolarmente crudele, e ossessionato dalla paura di intrighi per togliergli il regno (a causa di questo fece uccidere la moglie e alcuni dei suoi figli). Il bambino è minacciato da un pericolo grave, e Giuseppe con Maria devono correre ai ripari.

Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.

Un episodio, questo della fuga in Egitto, che porta con sé alcune suggestioni interessanti. Sappiamo che Erode è morto nel 4 a.C. quando Gesù aveva circa 2-3 anni (il conteggio degli anni a partire dalla nascita di Cristo da parte del monaco Dionigi il Piccolo è stato errato). Quindi la famiglia di Gesù deve aver vissuto in Egitto per un certo tempo. E questo viaggio, questa fuga, porta con sé tutta una serie di considerazioni: Giuseppe, Maria e Gesù sono stati per alcuni anni dei profughi, degli emigrati in un paese straniero. E lo sono stati a causa di una minaccia. Non sono andati in vacanza, hanno dovuto scappare dal proprio paese per sfuggire alla morte. Proprio come milioni di profughi e di emigrati di tutti i tempi che hanno dovuto o devono lasciare il proprio paese per una terra straniera. Non sappiamo come si sia trovata la famiglia di Gesù, ma certo deve essere stata una esperienza difficile: un paese straniero, un’altra lingua, forse anche diffidenza e disprezzo. E oltre a questo il viaggio. Di questo viaggio non se ne parla molto, anche perché non se ne sa nulla, ma alcune cose si possono notare. Non può essere avvenuto che in due modi: per terra o per mare. Nel primo caso un viaggio di circa 500 km passando attraverso il deserto del Sinai. Nel secondo caso imbarcandosi e arrivando in Egitto via Mediterraneo. Insomma, una famiglia di migranti su un barcone come tante ne stiamo vedendo in questi anni.


Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Giuseppe e la sua famiglia, dopo questi anni avventurosi tornano al paese in cui Giuseppe viveva prima della nascita di Gesù. da Nazaret Giuseppe era dovuto allontanarsi a causa del censimento dell'imperatore Augusto.

Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Lc 2, 4

Con il ritorno a Nazaret inizia un periodo tranquillo per la famiglia di Nazaret. Per molti anni Gesù crescerà e vivrà come tanti altri bambini, ragazzi, giovani. Ma di quel periodo conosciamo un episodio che ancora riguarda Giuseppe. Gesù ha 12 anni e si allontana dalla famiglia durante un viaggio a Gerusalemme, e viene ritrovato nel tempio.

…sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».  Lc 2, 48-49

…e il padre di cui parla Gesù non è certo Giuseppe.


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