sabato 19 ottobre 2013

uno su dieci



 
Lc 17, 11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».

Lascio la riflessione su questa invocazione alla fine del commento, perché nel quadro dell’episodio mi sembra possa offrire uno spunto interessante.

Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti».

Gesù, che potrebbe agire da solo, in alcune occasioni rimanda le persone ai sacerdoti. In particolare nel caso di lebbrosi, per i quali, secondo la legge di Mosè, occorreva la ‘certificazione’ da parte dei sacerdoti dell’avvenuta guarigione:

Venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi!”. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci!”. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: “Guarda di non dir niente a nessuno, ma va’, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro”. Mc 1, 40-44

Una precisazione: il termine ‘lebbra’ così come è usato nella Bibbia non indicava necessariamente il morbo di Hansen. Indicava più genericamente ogni malattia che causava ulcere e che portava con sé il rischio di contagio, ovviamente secondo le limitate conoscenze scientifiche e mediche del tempo. Il rischio di contagio e quindi di pericolo per tutta la popolazione giustificava l’isolamento in cui venivano costretti i lebbrosi (è stato così in molte parti del mondo fino a non molti anni fa). Insomma, una specie di rudimentale quarantena.


Tornando però al significato che Gesù dà a questo suo invito a presentarsi ai sacerdoti, se ne può ricavare una riflessione che credo importante: Gesù ne riconosce l’autorità, anche se a volte si scontra con loro o mette in discussione la loro correttezza o coerenza.

Si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli scribi con gli anziani e si rivolsero a lui dicendo: “Dicci con quale autorità fai queste cose o chi è che t'ha dato quest'autorità”. E Gesù disse loro: “Vi farò anch'io una domanda e voi rispondetemi: Il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo o dagli uomini?”. Allora essi discutevano fra loro: “Se diciamo "dal Cielo", risponderà: "Perché non gli avete creduto?". E se diciamo "dagli uomini", tutto il popolo ci lapiderà, perché è convinto che Giovanni è un profeta”. Risposero quindi di non saperlo. E Gesù disse loro: “Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio queste cose”. Lc 19, 1-8

Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. Ed insegnava loro dicendo: “Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!”. L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento. Mc 11, 15-18

I sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che faceva e i fanciulli che acclamavano nel tempio: “Osanna al figlio di Davide”, si sdegnarono e gli dissero: “Non senti quello che dicono?”. Gesù rispose loro: “Sì, non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode?”. Mt 21, 15-16

Mai Gesù bypassa l’autorità sacerdotale. Riferendo questa sua sottolineatura alla situazione di oggi, potremmo notare come per Gesù sempre la Chiesa (intesa in questo caso come gerarchia) mantiene una grande importanza. È Gesù stesso che ha dato un ruolo preciso a Pietro e ai Dodici, benchè poi non tutti e non sempre siano stati in grado di mantenere elevato il proprio ruolo e il proprio comportamento. Tra di Dodici uno ha tradito, uno ha rinnegato e tutti nel momento della passione di Gesù sono fuggiti. Quello che poi ha combinato in alcun casi la gerarchia ecclesiastica nei tempi successivi lo sappiamo tutti. Eppure Gesù non disconosce neppure l’autorità dei Sommi Sacerdoti. È da loro che accetta il giudizio, accettandone l’autorità. Come già detto, non esita però anche a metterne in discussione il comportamento e soprattutto la non volontà di mettersi al servizio della Legge divina, distorcendola e snaturandola:

Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate … lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?”. Ed egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”. E aggiungeva: “Siete veramente abili nell'eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte”.  Mc 7, 1-13


Ma nonostante tutto ciò l’autorità sacerdotale, allora come oggi, mantiene il proprio significato e ruolo, anche per Gesù stesso. Tanto che, nell’evoluzione successiva e nel passaggio dal sacerdozio del tempio a quello ministeriale del cristianesimo, questa importanza è ancora aumentata in riferimento alla celebrazione dei sacramenti, che nella fede ebraica non c’erano. Arrivato Cristo e avendoci lasciato nei sacramenti la sua presenza, il ruolo di chi li celebra ha assunto una importanza notevolissima. Tanto è vero che anche chi non riconosce nessun significato alla chiesa o nessuna autorità ai preti, però li va a cercare per ricevere i sacramenti (pensiamo al battesimo, o alla prima comunione, o alla messa di funerale in chiesa). Senza la Chiesa non ci sono sacramenti. Ovviamente se la Chiesa e noi preti ci comportiamo all’altezza del nostro compito e della nostra responsabilità, la nostra credibilità ne guadagna molto. Però l’efficacia dei sacramenti non è legata alla correttezza di chi li celebra. La messa celebrata da un prete indegno rende presente Cristo allo stesso modo della messa celebrata da un prete santo. Questa è stata la garanzia (e anche la grande responsabilità) che Cristo ha voluto legare alla chiesa: essere sempre strumento di salvezza, che provenendo da Dio ottiene sempre il suo obiettivo, per quanto lo strumento possa essere inadeguato o disastrato.
Quindi Gesù riconosce autorità e compito affidato ai sacerdoti. Ma la seconda parte dell’episodio completa il quadro aggiungendo un aspetto altrettanto importante.

E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?

L’azione di Dio, sia in Gesù che successivamente nei sacramenti, non è una magia. È un intervento che richiede la collaborazione e la partecipazione di chi lo riceve. Se guardiamo alla realtà di oggi nel paese in cui viviamo notiamo subito una grandissima sproporzione tra chi si dichiara credente, più o meno genericamente e ‘a modo suo’, e chi si professa praticante, cioè riconosce l’importanza e l’efficacia dei sacramenti, e vi si accosta regolarmente.
Questa proporzione è all’incirca uno su dieci. Il 90% dei battezzati qui in Italia non è praticante regolarmente. Ci sono, è vero, molte fasce intermedie. Una l’abbiamo notata prima: chi non è praticante ma qualche sacramento lo vuole ricevere, solitamente una tantum. C’è chi è poco praticante, chi lo è a seconda dei propri stati d’animo, chi lo è solo di alcuni ‘servizi’ e di altri no (ad esempio chi non va a messa ma va spesso in pellegrinaggio…).
Questa proporzione di uno a dieci nell’episodio dei lebbrosi ci offre un parallelo interessante, anche per alcune provocazioni che fa Gesù. In particolare la domanda sugli altri nove. Uno su dieci torna a lodare Dio e a ringraziare. E a lui Gesù fa questa domanda: dove sono gli altri nove?
In questo uno su dieci che loda Dio e lo ringrazia possiamo intravedere il 10% dei credenti che sono anche praticanti: la lode a Dio è il ringraziamento (eucharistò in greco, lingua dei vangeli, da cui eucaristia) sono ciò che fanno i praticanti, quelli che vanno a messa, ogni domenica. Ecco, a noi che andiamo a messa la domenica Gesù fa questa domanda: e gli altri? Non possiamo disinteressarcene. Dobbiamo rispondere a quella domanda. Non possiamo ignorarla. E gli altri? Ci pensiamo mai? Cosa facciamo perché possano anche loro possano incontrare Cristo come noi? E quindi dobbiamo chiederci anche perché loro non vengono. Ci saranno dei motivi. Forse sono motivi superficiali, ma potrebbero anche essere dei motivi seri e ragionati. Magari non vengono, o non vengono più per colpa nostra. Non possiamo fare come Caino:

Il Signore disse a Caino: "Dov'è Abele, tuo fratello?". Egli rispose: "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?". Gn 4, 9

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Tutti vengono guariti (cosa che dipende unicamente dall’azione di Dio) ma uno solo viene salvato (cosa che dipende anche dalla nostra collaborazione).
Ed eccoci alla riflessione finale che questo episodio mi ha suscitato: noi praticanti, noi 10%, siamo quelli che hanno riconosciuto che senza l’azione di Dio nella nostra vita saremmo dei poveretti. Ecco allora il senso dell’invocazione iniziale: ‘abbi pietà di noi’. Noi che  andiamo a messa la domenica non siamo i migliori, forse siamo i peggiori. E allora abbiamo capito di aver bisogno del Signore. Di aver bisogno della sua pietà, della sua vicinanza, del suo sostegno. Davvero senza di lui non siamo capaci di far nulla. Allora ogni domenica andiamo da lui per chiedere che ci stia vicino, che faccia attenzione a noi, alle nostre necessità ma soprattutto ai nostri limiti e anche ai nostri peccati. Ecco perché molte volte nel rito della messa questa invocazione riemerge: ‘Signore, pietà’. ‘Tu che togli i peccati del mondo abbi pietà di noi’, ‘Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi’. E nello stesso tempo andiamo a messa per ringraziare e per lodare Dio, come fa l’unico lebbroso che torna da Gesù.

Sono stato contattato da alcuni francescani del convento di Assisi. Inizialmente la cosa non ha riscosso da me grande entusiasmo perché non volevo fare un disco di musica devozionale: produzioni di questo genere le lascio volentieri a Radio Maria e alle Edizioni Paoline. Poi però questi francescani mi hanno conquistato perché io ho chiesto loro: "Per quale motivo scegliete me che sono un grande peccatore?" E loro, con il grande humour che è tipico dei francescani, hanno risposto: "Noi scegliamo te perché Dio sceglie sempre i peggiori". Allora mi sono messo a ridere e... a lavorare!



1 commento:

  1. questo commento al Vangelo di domenica scorsa è veramente illuminante, grazie anche per il brano di Branduardi

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