mercoledì 29 agosto 2012

crisi



Molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».      
     
Gesù nel suo lungo discorso sul pane ha insistito molto sull’identificazione pane-carne, ed ecco il risultato: dapprima la perplessità, poi il rifiuto.

Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 

Una bella differenza dalle scene di grandi folle che lo seguivano!

Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».  

È un momento fondamentale nel percorso dei vangeli. Ciò che Gesù propone a questo punto mette in crisi la folla e in particolare i discepoli. Gesù non accontenta più la folla e spiazza i suoi seguaci. Momento davvero importante, questo, perché finalmente Gesù si presenta con quello che è venuto a portare, che piaccia o no. Lui sa benissimo che le cose che propone sono sconcertanti e inaspettate, e non si aspetta che tutti le accolgano e le accettino subito e acriticamente. Si aspetta però che si fidino di lui. Fidarsi permette di aprirsi anche a cose che non si capiscono, ma richiede anche un rapporto personale sufficientemente profondo e una adeguata conoscenza di colui del quale ci si fida.

 
Ecco perché questo momento è così fondamentale. Chi ha cercato Gesù, seguito Gesù, magari osannato e applaudito Gesù senza però arrivare a conoscerlo (quindi in fondo pensando più a se stesso che a lui), ora si trova spiazzato. Ciò che Gesù chiede e propone non corrisponde più alle esigenze di chi lo segue.

Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». 

Gesù introduce ora un ulteriore aspetto, e chiama in causa il Padre. Non c’è in ballo solo da una parte l’esigenza dell’uomo, le sue aspettative, le sue necessità e i suoi desideri, e dall’altra le proposte, le esigenze e le rivelazioni di Gesù. C’è in questione anche un misterioso intervento del Padre, a cui Gesù aveva già fatto riferimento in precedenza.

Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato. Gv 6, 44

Noi cristiani tendiamo a mettere in gioco, nelle cose che riguardano la fede, due punti di vista, che tra l’altro mettiamo allo stesso livello di dignità e importanza: il nostro e quello di Cristo. Come se fossero due opinioni personali ugualmente valide, che possono coincidere o divergere, ma che hanno la stessa importanza. Normalmente il passaggio successivo è la prevalenza della nostra posizione personale; se coincide con quella di Gesù, la sentiamo avvalorata, se non coincide, troviamo sempre il modo di giustificare la nostra scelta e non la sua, tirando in ballo la libertà e la coscienza.
Ma se le cose non stessero proprio così, e riguardo al rapporto con Dio ci fosse uno sbilanciamento? La mia idea e quella di Dio sono ugualmente importanti? Hanno la stessa dignità e lo stesso peso? Gesù qui tira in ballo il Padre, perché la propria divinità è ancora troppo nascosta, e rischia ancora di essere ritenuto un uomo come gli altri, davanti al quale ci si potrebbe porre alla pari, contrapponendo le proprie opinioni alle sue. Ma Gesù piano piano mette in gioco anche Dio stesso, davanti al quale le nostre posizioni, le nostre idee, le nostre opinioni, per quanto legittime e importanti, assumono un peso molto diverso.

“chi pretendi di essere?”. Rispose Gesù: “Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "E' nostro Dio!", e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Gv 8, 53-55

Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.

Ecco il risultato finale: quello che Gesù (e il Padre) propongono non corrisponde alle attese, non asseconda le aspettative, non piace o non interessa più, o non viene capito. Il discepolo (io, ciascuno di noi) finisce per trovarsi di fronte non a una scelta tra posizioni diverse ma comunque possibili, ma a doversi fidare, e se non c'è una sufficiente conoscenza personale di Dio questo non è possibile.

Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 

Gesù non si lascia intimorire dalla caduta di consenso, dai sondaggi che non lo premiano. Non gli interessa farsi eleggere, ma continuare a proporre quello che ha da dire e da rivelare. Piaccia o no. La domanda che fa agli Apostoli non è ‘ho esagerato? Sono stato troppo esigente?’, non chiede loro se quello che ha detto piace o no, interessa o no, corrisponde alle attese o no. 

Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».


Credo che il miglior commento alla risposa di Pietro sia questo:

lettera di don Lorenzo Milani a don Ezio Palombo, Prato
Barbiana, 25. 3. 1955
... non so cosa dirti del ping pong. Io sono sicuro che se lo spezzi nel mezzo e se in conseguenza di ciò non avrai più nessun ragazzo intorno non morrà nessuno. Avrai più tempo per pensare, più silenzio, e in più pian piano andrai costruendo quell’immagine di prete più vera e degna di te che con l’andare del tempo attirerà col suo valore intrinseco molto più i ragazzi che il ping pong. L’immagine di quel vero prete che sei già e che non devi mascherare da giocoliere né abbassare per avvicinare chi è in basso.
Chi è in basso (cioè chi cerca disperatamente dei sistemi per buttare via il tempo) deve vederti in alto, magari per qualche anno odiarti e disprezzarti e fuggirti, e poi se Dio gli dà la grazia pian piano cominciare a invidiarti, imitarti, superarti.
“Ponete in alto il vostro cuore e fate sia come fiaccola che arda”. Io penso che su questo punto non bisogna aver pietà, di nessuno. La mira altissima, addirittura disumana (perfetti come il Padre!) e la pietà, la mansuetudine, i compromessi paterni, la tolleranza illimitata solo per chi è caduto e se ne rende conto e chiede perdono e vuol riprovare da capo a porre la mira altissima. Ma un tavolo da ping pong è un monumento sempre presente di mira modesta e squalifica la tua dignità di sacerdote del Dio Altissimo.
Non mi pare che risulti che Gesù andasse a cercare i peccatori tanto quanto che erano loro a cercarlo. E se quest’ultima affermazione non fosse vera, diciamo almeno che se anche li ha cercati c’è riuscito poco dato che quando morì l’avevano abbandonato tutti. Eppure se li avesse voluti poteva far comparire ben altro che un ping pong per attirarli! Quando fu morto e ben fallito, i milioni di uomini che lo hanno cercato e trovato non lo hanno fatto perché lui e la sua croce e la sua legge fossero molto attraenti, ma perché erano loro che si sentivano vuoti e disperati e bisognosi di lui.
Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso, ma chi mira basso. Rinceffargli ogni giorno la sua vuotezza, la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza. Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti prima e dopo Cristo. Renderci antipatici, noiosi, odiosi, insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce. E splendenti e attraenti solo per quelli che hanno la grazia sufficiente da gustare altri valori che non siano quelli del mondo.
La gente viene a Dio solo se Dio ce la chiama. E se invece che Dio la chiama il prete (cioè l’uomo, il simpatico, il ping pong) allora la gente viene all’uomo e non trova Dio.

Ma io tutte queste cose ti ho già detto a sazietà e dimostrato coi fatti alla mano che son riuscito ad attirare gente io che sono in grazia di Dio una volta sì e dieci no... e tu ti sgomenti che stai in grazia di Dio dalla mattina alla sera?
Sei tanto bischero!
Un abbraccio affettuoso e scrivi presto, tuo
Lorenzo
 

venerdì 10 agosto 2012

Io sono il pane



La folla salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 

Abbiamo lasciato Gesù che se ne andava via da solo proprio in uno dei momenti di maggiore popolarità, sottolineando ancora una volta come il suo scopo non sia quello di diventare famoso ma di avere la possibilità di essere riconosciuto per colui che è veramente.

Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».  

Gesù parte sì dalle esigenze pratiche di chi ha davanti, ma non si ferma ad accontentarle, perché vuole proporre qualcosa di più grande. A partire dal cibo materiale, essenziale per la vita terrena, estende l’orizzonte al cibo che può servire per la vita eterna, perché è certamente più importante, anche se relativizza ciò che è terreno.

Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». 

Le due domande che vengono rivolte ora a Gesù sono indicative di quanto sia forte in noi la nostra esclusiva visione delle cose. Espressa in due modi: il primo è pensare solo a quello che dobbiamo o possiamo fare noi. Valutazione certo comprensibile, ma che esprime la nostra fatica, nelle relazioni personali (quindi anche nel rapporto con Dio) nel considerare cosa l’altro abbia da dire o da fare. Altre volte nei vangeli viene rivolta a Gesù questa domanda:
Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Mc 10, 17


La risposta di Gesù è: niente. Non dovete fare niente, ascoltatemi, statemi a sentire, fidatevi di me. Come abbiamo già notato altre volte, il modo di intendere la ‘fede’ da parte di Gesù è molto diverso dal nostro. Per noi credere è una specie di nostra capacità personale, un atto della nostra volontà (‘voglio crederci’, oppure ‘ho molta fede’), per Gesù è la disponibilità ad ascoltare e accogliere quello che lui ha da dire e da dare. Fede per Gesù non è una cosa che facciamo noi, ma l’apertura a quello che può fare lui.

Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 

Il secondo modo con cui esprimiamo il nostro modo troppo autocentrato di rapportarci con Dio è quello di chiedergli dei segni. È una esigenza certamente legittima e ragionevole, perchè chiunque potrebbe venire a presentarsi come inviato di Dio e proporci qualunque cosa gli passi per la testa. Infatti in alcune occasioni Dio acconsente a dare dei segni che confermino la sua parola.
Gedeone disse a Dio: “Se tu stai per salvare Israele per mia mano, come hai detto, ecco, io metterò un vello di lana sull'aia: se c'è rugiada soltanto sul vello e tutto il terreno resta asciutto, io saprò che tu salverai Israele per mia mano, come hai detto”. Così avvenne. La mattina dopo, Gedeone si alzò per tempo, strizzò il vello e ne spremette la rugiada: una coppa piena d'acqua. Gedeone disse a Dio: “Non adirarti contro di me; io parlerò ancora una volta. Lasciami fare la prova con il vello, solo ancora una volta: resti asciutto soltanto il vello e ci sia la rugiada su tutto il terreno”. Dio fece così quella notte: il vello soltanto restò asciutto e ci fu rugiada su tutto il terreno. Gdc 6, 26-29

Ma nel chiedere segni a Dio occorre essere attenti ad alcune cose:

1 – non tutti i segni provengono da Dio. Un criterio per valutare se un segno è secondo Dio è se è coerente con tutte le altre cose che Dio ha detto e fatto. È un po’ quello che succede anche nel rapporto con le nostre autorità: se un poliziotto mi chiede di commettere un reato io non solo posso, ma devo disobbedirgli, per quanto sia un poliziotto e abbia quindi un’autorità che devo rispettare. In modo simile, non è il segno che devo valutare in sé, ma se quel segno conferma ed è in linea con le cose che Dio ha rivelato.
Qualora si alzi in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio e il segno e il prodigio annunciato succeda ed egli ti dica: Seguiamo dei stranieri, che tu non hai mai conosciuti, e rendiamo loro un culto, tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore. Dt 13, 2-4
2 – i segni non sono sempre necessariamente quelli che desideriamo noi, ma possono essere dati nei modi o nei tempi che Dio decide.
Il Signore parlò ancora ad Acaz: “Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto”. Ma Acaz rispose: “Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore” … “il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. Is 7, 10-14
4 – con l’arrivo di Gesù cambia completamente il criterio con cui valutare i segni di Dio. Gesù fa relativamente pochi segni e miracoli e, lo abbiamo già notato, solo all’inizio della sua vita pubblica, poi smette. Per evitare che lo cerchino, come infatti avviene, solo per approfittare dei suoi miracoli. Gesù addirittura in alcune situazioni si rifiuta di concedere i segni richiesti.
Vennero i farisei e si misero a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno». Mc 8, 11-12
Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Lc 11, 29-30


Perché Gesù non vuole dare segni? L’ultima citazione, dal vangelo di Luca, credo ci dia la risposta. Con l’arrivo di Gesù non ci sono più segni, perché l’unico segno che conta …è Gesù stesso. È lui il segno, non i suoi miracoli.
San Giovanni della Croce ha spiegato molto bene questo:
Ora che la fede è basata su Cristo, non è più necessario consultare Dio, né che egli parli o risponda come nell’antica Legge. Infatti donandoci il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta e non ha più nulla da rivelare … Dio è diventato in un certo senso muto, non avendo più nulla da dire, perché quello che un giorno diceva parzialmente per mezzo dei profeti, l'ha detto ora pienamente dandoci tutto nel Figlio suo …
san Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo

I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».  

Nel nostro caso Gesù, continuando a riferirsi al segno che aveva fatto con la moltiplicazione dei pani, inizia un lungo e intenso discorso in cui spiega il perché aveva fatto quel segno: non tanto per dar da mangiare alla folla, quanto per cominciare a identificarsi con il segno del pane, che per lui è molto importante. Il discorso che farà in seguito lo dimostrerà, e soprattutto l’identificazione Gesù-pane si realizzerà completamente nell’ultima cena, dove Gesù nel pane-corpo eucaristico si renderà presente in modo continuativo per tutto il tempo della chiesa.

Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Continuano a chiedergli pane materiale, e Gesù da ora in poi non farà altro che presentare come pane se stesso. Ci vorrà ancora molto tempo perché i discepoli stessi comincino a capire ciò che Gesù sta proponendo loro. Lo stesso lungo cammino di comprensione lo dobbiamo fare noi, e credo che siamo ancora tutti molto lontani dall’averlo colto completamente.