lunedì 27 febbraio 2012

berlicche 11

Mio caro Malacoda,
è evidente che tutto va bene. Godo soprattutto di sapere che i due nuovi amici gli hanno fatto ora conoscere tutta la compagnia. Son tutta gente, come ho potuto controllare dall’archivio, sulla quale si può fare completo affidamento: beffardi e solidamente mondani e sicuri che, senza delitti spettacolari, progrediscono quietamente e comodamente verso la casa di Nostro Padre. Tu parli di loro come di grandi ridanciani. Voglio sperare che ciò non significhi che tu abbia l’impressione che il riso in quanto tale sia in nostro favore. Val la pena di rivolgere l’attenzione su questo punto. Io divido le cause del riso umano in: gioia, allegria, scherzo e volubilità. La prima la troverai tra amici e persone che si vogliono bene, riuniti alla vigilia di un giorno di festa. Tra le persone adulte si presenta di solito qualche pretesto simile agli scherzi, ma la facilità con la quale il minimo motto di spirito produce il riso in un dato momento è una prova che la vera causa non sono gli scherzi. La vera causa noi la conosciamo. Qualcosa di simile viene espresso in molta di quell’arte detestabile che gli esseri umani chiamano Musica, e qualcosa di simile ha luogo in Cielo: un’accelerazione priva di senso nel ritmo dell’esperienza celeste, completamente opaca per noi. Un riso di questo genere non ci porta nessun vantaggio, e dovrebbe essere sempre sconsigliato. Inoltre quel fenomeno è in se stesso disgustoso, così come è un diretto insulto al realismo, alla dignità e all’austerità dell’Inferno.
L’allegria è strettamente associata alla gioia; è una specie di spuma emozionale che sorge dall’istinto del gioco. È di pochissima utilità per noi. Può essere, naturalmente, usata talvolta per allontanare gli umani da qualcosa che il Nemico desidererebbe far loro sentire o fare, ma in se stesse le sue tendenze sono assolutamente indesiderabili: promuove l’altruismo, la contentezza, e molti altri mali.
Lo scherzo propriamente detto, che sorge dall’immediata percezione di una incongruità, è un campo molto più promettente. Non intendo parlare in primo luogo dell’umorismo indecente e immorale, che spesso disillude nei suoi risultati, benchè tentatori di second’ordine ne abbiano una grande fiducia. La verità è che su questo argomento gli esseri umani sono abbastanza chiaramente divisi in due classi. Vi sono quelli per i quali nessuna passione è tanto seria quanto la lussuria, e per i quali una storiella indecente cessa di produrre un senso di lascivia proprio quando diventa ridicola. Mentre in altri il riso e la lussuria vengono eccitati nello stesso momento e dalle stesse cose. Il primo genere scherza sul sesso per le molte incongruenze che suscita; i secondi coltivano le incongruenze in quanto offrono un pretesto per parlare del sesso. Se il tuo uomo è del primo tipo, l’umorismo indecente non ti servirà a nulla (non dimenticherò mai le ore perdute, ore per me di tedio insopportabile, con uno dei miei primi pazienti nel bar e nelle sale per fumatori prima che sapessi di questa regola). Cerca di scoprire il gruppo al quale appartiene il tuo paziente, e procura che egli non lo scopra. L’utilità reale degli scherzi o dell’umorismo consiste in una direzione completamente diversa, e promette bene particolarmente tra gli inglesi, i quali prendono talmente sul serio il loro senso dell’umorismo che una insufficienza in questo senso è quasi l’unica insufficienza della quale sentano vergogna. L’umorismo è per loro la grazia vitale che porta ogni consolazione e (nota bene) ogni scusa. È quindi eccezionale come mezzo per distruggere la vergogna. Se uno lascia che gli altri paghino per lui, è avaro; ma se se ne fa un vanto in modo scherzoso e rinfaccia ai suoi simili di aver fatto le spese per lui, non è più avaro, ma è un tipo ameno. Essere vile semplicemente è vergognoso; esserlo gloriandosene con esagerazioni umoristiche e gesti grotteschi è cosa sulla quale si può passare sopra come divertente. La crudeltà è cosa vergognosa, a meno che l’uomo crudele la possa presentare come uno scherzo fatto a un’altra persona. Mille scherzi indecenti e magari blasfemi non sono di aiuto per la dannazione di un uomo tanto quanto la scoperta che quasi ogni cosa che desidera fare può farsi, non soltanto senza la disapprovazione, ma con l’ammirazione dei suoi simili, se soltanto si riesce a farla in modo che la si tratti come uno scherzo. Questa tentazione può rimanere quasi totalmente celata al tuo paziente grazie alla serietà inglese riguardo all’umorismo. Qualsiasi dubbio che ve ne possa essere troppo può essergli presentata come ‘puritana’ o come prova di ‘mancanza di umorismo’.
Ma la volubilità è la migliore di tutte queste cose. In primo luogo è molto economica. Soltanto un essere umano intelligente può fare del vero spirito sulla virtù e, a dire il vero, su qualsiasi altra cosa; invece qualsiasi uomo lo si può educare a parlare come se la virtù fosse ridicola. Tra la gente volubile si ritiene sempre che lo scherzo sia stato fatto. Nessuno, in realtà, lo fa; ma ogni argomento serio viene discusso in modo tale che si suppone di averne già trovato il lato ridicolo. Se viene prolungata, l’abitudine di fare il chiacchierone leggero e volubile costruisce intorno a un uomo la più fine armatura contro il Nemico che io conosca, ed essa è completamente libera dai pericoli che si accompagnano alle altre fonti del riso. È lontana mille miglia dalla gioia, ottunde l’intelletto invece di renderlo acuto, e non eccita affetto alcuno tra coloro che la praticano.

Tuo affezionatissimo zio

Berlicche


mercoledì 22 febbraio 2012

inizio

Oggi, mercoledì delle Ceneri, inizia la Quaresima. Il vangelo di domenica scorsa mi sembra particolarmente adatto a evidenziarne l’aspetto fondamentale, che è incontrare sempre meglio il Signore, presentandogli (magari aiutati dagli altri se da soli non ce la facciamo) le nostre paralisi, le nostre difficoltà a muoverci nella vita. Sia le paralisi fisiche che quelle spirituali.



Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.

Questo è un episodio con molti particolari interessanti. Il primo è che Marco riferisce che Gesù ‘annunciava la parola’, ma di quella parola non viene riportato nulla. Curioso.

Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico.

Da notare lo spirito di iniziativa di queste quattro persone: addirittura salgono sul tetto, lo aprono e calano la barella. È vero che i tetti delle case di Cafarnao erano molto diversi dai tetti delle nostre case, e spostare delle assi di legno o dei fasci di foglie di palma o simili era meno problematico che sfondare un tetto di tegole e un soffitto di cemento, però la fatica fatta da questi quattro non è stata cosa da poco. Chissà poi il proprietario della casa (Simone?) come sarà stato contento a vedersi demolire il tetto! Questo episodio ricorda un po’ quello di Zaccheo. Anche lui si trova davanti la folla e deve darsi da fare per salire in alto.

Zaccheo … cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Lc 19, 2-4


Gesù, vedendo la loro fede,

Secondo particolare interessante: Marco dice ‘vedendo la loro fede’. Non la fede del paralitico, ma dei quattro barellieri. Ma come si fa a vedere la fede? La si vede dal suo modo di esprimersi:

… la fede se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede. Gc 2, 17-18

La fede è come l’amore: non si vede, ma se ne vedono i risultati. Non possiamo vedere la fede, ma possiamo vedere il modo con cui ciascuno vive la propria fede. Attenzione: qui, come in tutta la Scrittura, per fede non si intende ciò che intendiamo noi in occidente: o il generico credere nell’esistenza di un Dio oppure una propria capacità personale quasi magica per cui si può affermare ‘io ho tanta fede’. Il modo biblico di esprimere la fede è molto diverso, molto più operativo e vitale. Per noi occidentali la questione della fede è una questione filosofica e teorica. Talmente teorica che ci si possono scrivere dei libri e dei trattati senza che questo influisca minimamente sulla vita quotidiana di chi li ha scritti. Per il popolo che ha espresso la Bibbia è una questione invece vitale, di rapporto e di fiducia, e inevitabilmente si esprime in modi di essere concreti. Dio, per il popolo della Bibbia (quindi anche per la Chiesa), è qualcuno con cui avere a che fare, non un concetto astratto. Gesù vede che questi quattro ci tengono così tanto che il paralitico gli venga posato davanti, da fare grandi fatiche per raggiungere l’obiettivo. Ci tengono che il loro assistito lo possa incontrare personalmente. Il loro affetto per lui non si vede, ma se ne vedono gli effetti. Così come si vede che ci tengono davvero tanto a che il paralitico possa arrivare a Gesù. Non stanno facendo una lunga e dotta disquisizione sull’esistenza di una divinità. Gesù apprezza talmente questa fiducia che quello che opera lo fa grazie a loro, ‘vedendo la loro fede’. Molto interessante questa situazione. Quando si sta male la fede vacilla, a volte crolla. È facile avere fede quanto tutto va bene, ma quando la vita è paralizzata diventa difficile, a volte impossibile fidarsi di Dio. Allora c’è bisogno della fede degli altri, della loro fiducia. Vista la loro fede… Ecco uno dei compiti della Chiesa: fare in modo che chiunque vive una fede paralizzata possa trovare dei barellieri che gli prestino la propria.

disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».

Terzo particolare, il più interessante, è questa affermazione di Gesù. Interessante per due motivi: il primo è che questo paralitico, presumibilmente, gli è stato portato davanti perché fosse guarito. A Gesù viene chiesta una cosa e lui ne fa un’altra. Questa considerazione apre degli orizzonti nuovi riguardo alla preghiera, che spesso noi vediamo come una cosa semplicemente funzionale: ho bisogno di una cosa, vado dal ‘distributore’, pago e la prendo (e se non me la da mi arrabbio, proprio come prenderei a calci un distributore automatico che non mi ha lasciato cadere la lattina). 


Ma Dio non è un distributore a pagamento. È una persona. E una persona molto speciale, che vede le cose molto più in grande di me, e che potrebbe anche ritenere che ci sia qualcosa di meglio di quello che gli chiedo io, e che quindi preferisca darmi una cosa diversa da quella che gli ho chiesto. Nello specifico, cosa è più grave, quindi più urgente eliminare: il peccato o la malattia? Secondo i nostri criteri, espressi nel modo di dire ‘la salute è tutto’, la cosa peggiore è la malattia e la sofferenza fisica. Qui si vede che per Gesù c’è qualcosa di più urgente, quindi grave, che va eliminato prima: il peccato. La malattia non impedisce di accedere alla vita eterna, al paradiso (così Celentano non può più dire che non ne parliamo mai), il peccato sì. Ecco allora che Gesù, anche se gli chiedono altro, per prima cosa interviene d’autorità su quello che lui sa essere più urgente.
Il secondo motivo che rende interessante la dichiarazione fatta da Gesù riguardo al perdono lo fanno notare gli scribi:

Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?».

Gli scribi hanno ragione. Gesù sta facendo un’affermazione assurda per un ebreo. Solo Dio può perdonare i peccati. Ne consegue che Gesù bestemmia, arrogandosi poteri che un uomo non può avere. Eppure nella domanda degli scribi è racchiusa anche un’altra possibilità: se solo Dio può perdonare i peccati e se Gesù perdona i peccati, allora Gesù...

E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua».

Gesù sa che gli scribi hanno ragione nell’inorridire davanti alla sua affermazione. E sa anche un’altra cosa: anche se nessun ebreo avrebbe mai osato attribuirsi un potere che è solo di Dio, nondimeno chiunque potrebbe dire a un altro ‘ti perdono i peccati’. Tanto, chi potrebbe verificare se questo è avvenuto davvero? È certamente più facile dire a qualcuno ‘ti perdono i peccati’ che ‘alzati e cammina’. I peccati non si vedono, una guarigione sì. Allora Gesù, non essendo possibile far vedere, far toccare con mano che dei peccati siano stati perdonati, fa vedere che lui può guarire il paralitico. Se Gesù dice ‘guarisci’ e il malato guarisce davvero, allora se dice ‘ti perdono’, è possibile che il peccatore venga perdonato davvero (cosa che può fare solo Dio).

Quello si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».





lunedì 20 febbraio 2012

sorgente

Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? E' molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono ad una fonte. La tua parola offre molti aspetti diversi, come numerose sono le prospettive di coloro che la studiano. Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla. La sua parola è un albero di vita che, da ogni parte, ti porge dei frutti benedetti. Essa è come quella roccia aperta nel deserto, che divenne per ogni uomo, da ogni parte, una bevanda spirituale. Essi mangiarono, dice l'Apostolo, un cibo spirituale e bevvero una bevanda spirituale (cfr. 1 Cor 10, 2). Colui al quale tocca una di queste ricchezze non creda che non vi sia altro nella parola di Dio oltre ciò che egli ha trovato. Si renda conto piuttosto che egli non è stato capace di scoprirvi se non una sola cosa fra molte altre. Dopo essersi arricchito della parola, non creda che questa venga da ciò impoverita. Incapace di esaurirne la ricchezza, renda grazie per la immensità di essa. Rallegrati perché sei stato saziato, ma non rattristarti per il fatto che la ricchezza della parola ti superi. Colui che ha sete è lieto di bere, ma non si rattrista perché non riesce a prosciugare la fonte. 


E` meglio che la fonte soddisfi la tua sete, piuttosto che la sete esaurisca la fonte. Se la tua sete è spenta senza che la fonte sia inaridita, potrai bervi di nuovo ogni volta che ne avrai bisogno. Se invece saziandoti seccassi la sorgente, la tua vittoria sarebbe la tua sciagura. Ringrazia per quanto hai ricevuto e non mormorare per ciò che resta inutilizzato. Quello che hai preso o portato via è cosa tua, ma quello che resta è ancora tua eredità. Ciò che non hai potuto ricevere subito a causa della tua debolezza, ricevilo in altri momenti con la tua perseveranza. Non avere l'impudenza di voler prendere in un sol colpo ciò che non può essere prelevato se non a più riprese, e non allontanarti da ciò che potresti ricevere solo un po' alla volta.

sant'Efrem - Commenti dal Diatessaron

mercoledì 15 febbraio 2012

lebbroso


Venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!».

Ancora una volta viene fuori il riferimento alla ‘purificazione’. Lo ‘spirito’ nella sinagoga di Cafarnao era impuro e il lebbroso chiede a Gesù di essere purificato. L’impurità rituale era un po’ l’ossessione della cultura biblica, e sarà interessante vedere che Gesù non la tratta con sufficienza, come una cosa sbagliata, ma come in molte altre cose aiuta a ridarle il senso originario che si è perso. Il punto fondamentale attorno al quale ruota tutto è la santità di Dio. Dio è santo, il suo popolo deve essere santo.

Il Signore parlò a Mosè: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Lv 19, 2

Una prima distorsione di questo presupposto avviene quando si confonde la santità con la purezza. La santità è la perfezione nel bene di Dio. La purezza ne è solo un aspetto. Dio è santo, quindi in lui non c’è alcun male. Della necessità di somigliare a Dio, il popolo biblico (ma anche la Chiesa) a volte si ferma solo su alcuni aspetti, in particolare l’evitare il male, tralasciando forse un po’ troppo l’aspetto principale, che è invece quello di tendere al bene. Insomma, l’uomo tende a semplificare le cose, e confonde a volte il fare il bene con il non fare il male. 
Nel fare il bene l’attenzione è rivolta al bene. Nel non fare il male l’attenzione è rivolta al male. 

 
È un piccolo passaggio, difficile da cogliere nei suoi risvolti pratici (che sono quelli a cui facciamo più attenzione), ma è un passaggio importantissimo, e purtroppo deleterio. Invece di essere, diciamo così, ossessionato dal bene, l’uomo rischia di essere ossessionato dal male. E l’attenzione a evitare il male, che di per sé è un connotato positivo, rischia di diventare evitare che qualcosa di male mi contamini. Anche questo è un passaggio importante, anch’esso purtroppo verso il basso. È il criterio che sta sotto non solo, come si è visto, a un certo modo di vedere le cose del popolo biblico, ma anche a un modo di vedere le cose non estraneo alla nostra mentalità: quello che vede il male come generato da forze ostili (malocchio, fatture, maledizioni) esterne a noi.
Il male è in primo luogo quello che commette l’uomo, non qualcosa che lo sporca dall’esterno. È qualcosa di interno, di interiore. È vero che c’è anche la sua origine diabolica (e infatti Gesù già dall’inizio della sua predicazione si scontra con questo aspetto), ma il male in noi è tale quando è fatto nostro, con una scelta libera e consapevole. Invece il popolo di Dio (non solo Israele, ma anche noi cristiani) a volte esteriorizza il male, ne fa qualcosa di sporco dal quale difendersi, dimenticandone l’aspetto di responsabilità personale. 
Una delle cose a cui il popolo biblico faceva maggiormente attenzione era il non contaminarsi. E causa di contaminazione era una serie innumerevole di cose, a partire dal maligno (e qui Gesù collabora), fino a qualunque tipo di malattia o di problema psichiatrico, e ancora giù giù fino agli animali e agli oggetti. Quando arriveremo al cap. 7 di Marco ne riparleremo. Anticipo però il testo, perché Gesù si spiega meglio di me:

Si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate ( i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti), quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:
Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo». Mc 7, 1-23

Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 


Gesù risponde alla richiesta del lebbroso assecondandola, e parlando di purificazione anche lui. Ma per Gesù la purificazione è un atto completo, che non interviene solo sull’impurità rituale, ma anche sulla malattia. Nell’episodio successivo, quello del paralitico, Gesù tirerà in ballo anche l’impurità morale, cioè il peccato.

E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

Stranissimo: Gesù lo caccia via e gli impedisce di parlare. Esattamente come aveva fatto con lo spirito impuro nella sinagoga e con i demòni. Marco usa la stessa parola in tutti e due i casi. Perché questo atteggiamento di Gesù? È difficile rispondere, non lo conosciamo ancora abbastanza (se ci limitiamo al vangelo di Marco che stiamo leggendo. Ma è proprio questo che mi piacerebbe fare: partire da zero, mettersi nella stessa situazione di Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, che lo hanno appena conosciuto).  Gesù si arrabbia con quest’uomo perché anche lui è fissato con l’impurità? Oppure lo tratta bruscamente per intimorirlo e evidenziare quello che gli dice dopo: ‘non dire niente a nessuno’? E perché gli ordina di non parlare? Ormai la sua fama si stava già diffondendo, che senso aveva ormai dire a uno solo di non divulgare la notizia?
Tutta la città era riunita davanti alla porta. Mc 1, 33
Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Mc 1, 37
Gesù non voleva che si sapesse che lo aveva toccato? Potrebbe essere. Gesù toccando un impuro, secondo la legge di Mosè si era reso impuro anche lui, e a sua volta avrebbe reso impuri tutti coloro che lo avrebbero toccato. Ma allora perché aveva toccato il lebbroso? La questione è molto complicata, ma interessante, perché cominciano ad emergere degli indizi riguardo all’identità di Gesù. Il primo è nascosto nel gesto stesso di Gesù di toccare il lebbroso. Secondo la legge di Mosè chi toccava un impuro diventava impuro. Ma Gesù toccando l’impuro lo purifica. Ma allora chi è Gesù? I sacerdoti da cui Gesù invia il lebbroso non potevano purificare della lebbra, ma solo accertare che il lebbroso fosse guarito, quindi dichiarare che non era più impuro. Ma Gesù fa qualcosa di più: guarisce la lebbra. Quindi Gesù è ben più dei sacerdoti. Ma se, oltre alla fama, Gesù si portasse con sé anche una dichiarazione pubblica di impurità non potrebbe più fare nulla. Ecco allora forse perché Gesù non vuole che questo lebbroso faccia sapere in giro quello che Gesù ha fatto. Quello che dice Marco subito dopo infatti potrebbe essere un indizio di questo timore di Gesù:


Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Il lebbroso ha diffuso la notizia, e Gesù deve (o preferisce) stare fuori delle città, come era imposto a chi era impuro:

Il lebbroso … sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento». Lv 13, 45-46

L’episodio successivo si svolgerà di nuovo a Cafarnao, in casa, dopo alcuni giorni. Gesù ha constatato che nessuno ha fatto caso al particolare dell'aver toccato il lebbroso, quindi ritiene di poter entrare in città senza commettere scandalo? Oppure aspetta fuori della città fino a che il lebbroso non sia stato dichiarato guarito e purificato dai sacerdoti?


mercoledì 8 febbraio 2012

una giornata di Gesù



Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni.

Siamo a Cafarnao (Kephar Nahum: villaggio di Nahum o villaggio della consolazione), sito riportato alla luce solo nella seconda metà dell’800. Una seconda campagna di scavi fu effettuata nel 1921, e infine uno scavo più accurato fu portato a termine solo negli anni 1970-84 (Corbo e Loffreda). Quest’ultimo scavo portò alla scoperta del villaggio dei tempi di Cristo. La pellegrina Egeria visitò Cafarnao nel 380 testimoniando che «la casa di Pietro è stata mutata in chiesa». Una seconda chiesa fu poi innalzata dai bizantini nel V sec. con pianta ottagonale. Di questa chiesa vi sono tuttora i resti. La prima chiesa (quella di cui parla Egeria) e successivamente quella bizantina sono costruite intorno a una stanza, che potrebbe essere la casa di Pietro, i cui muri riportano un centinaio di graffiti con il nome di Gesù, di Pietro e altre invocazioni.

Cafarnao prima della costruzione della nuova chiesa
La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

Un primo intervento di Gesù riguarda la suocera di Pietro (che quindi era sposato), e contiene un particolare interessante. Gesù la prende per mano. Un gesto significativo, perché toccare una donna, tanto più con la febbre, era considerato un gesto indegno di un rabbì. È vero che questo suo ruolo non è ancora riconosciuto (Gesù finora non ha fatto altro che insegnare nella sinagoga, cosa che poteva fare qualunque adulto, anche senza avere un incarico specifico), ma forse proprio per questo sembra che Gesù cominci con un passo falso. Toccare una donna con la febbre, quindi impura o quantomeno a rischio di impurità (che era un po’ l’ossessione degli ebrei), non era il modo migliore per presentarsi come uno che voleva diventare rabbì. Il suo gesto verrà ripetuto altre volte, in situazioni ancora più compromettenti, ad esempio nel caso del lebbroso:
Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». Mc 1, 40-41
Quindi Gesù lo fa proprio apposta. Non dimentichiamo poi anche che siamo in giorno di sabato (il giorno non è ancora finito, non è ancora il tramonto). Anche questo particolare ritornerà molte volte, e causerà uno scontro sempre più forte tra Gesù e le autorità religiose di Israele.

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati.

Gli abitanti di Cafarnao, da buoni ebrei, non si muovono se non dopo il tramonto del sabato, perché la legge impediva a chiunque di fare qualunque movimento o lavoro in quel giorno. A Gesù vengono portati malati e indemoniati. Ma cosa si intende per indemoniati? Nell’episodio precedente abbiamo avuto un primo episodio in cui Gesù trova uno ‘spitito impuro’, ma abbiamo visto che non è facile capire cosa si intenda. Qui però non si parla di ‘spiriti impuri’, bensì di indemoniati, e poco oltre, di demòni che vengono scacciati. Sembra che ci sia una differenza. Teniamo d’occhio la questione, e negli episodi successivi forse riusciremo a capire di cosa si tratta. Una cosa comunque la si può già notare: qualunque cosa siano i demòni, Gesù non solo è in grado di scacciarli, ma ce ne sono tanti, cosa che lascia alquanto perplessi. In un villaggio come Cafarnao, certamente piccolo, che ci siano dei malati è comprensibile, ma possibile che ci siano così tanti indemoniati? È un indizio in più che con il termine indemoniati venivano chiamati tutti coloro che avevano delle ‘malattie strane’?

Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

Un particolare che avevamo già notato nell’episodio precedente, nella sinagoga: Gesù zittisce i demòni, perché lo conoscono. Ma mentre nella sinagoga non si capiva bene se stesse parlando con l’uomo o con lo ‘spirito impuro’, qui viene detto chiaramente che impedisce ai demòni di parlare. Molto misterioso.

Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!».

il lago di Tiberiade

Due particolari interessanti:
È il giorno dopo il sabato, e Gesù si alza (il termine usato nel testo greco è anastàs) quando è ancora buio e si ritira in un luogo appartato. Curiosamente tutta questa situazione richiama quello che succederà nel giorno della resurrezione. Anche là siamo nel giorno dopo il sabato, al mattino presto. Anche là Gesù si ‘alza’ (stesso verbo usato) quando tutti dormono e nessuno lo vede. Anche là ci sono Simone e altri con lui, che si mettono sulle sue tracce. Anche là lo cercano.

Risorto (anastàs) al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala. Mc 16, 9

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa. Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?».Gv 20, 1-15

Secondo particolare: Gesù prega. Ma non è Dio? Chi prega? La risposta per noi cristiani è automatica: prega il Padre. Ma forse dovremmo pensarci un po’ di più, perchè la nostra risposta risente del catechismo che abbiamo imparato, e forse bisognerebbe imparare a ragionare sulle cose imparate (che peraltro sono importantissime, senza queste cose non avremmo alcun punto di partenza) e coglierne il significato. Ecco perché può essere utile immedesimarsi negli episodi del vangelo fin dall’inizio, in modo da fare anche noi il percorso di consapevolezza che la chiesa ha fatto, per evitare di ripetere delle cose pensate da altri senza mai arrivare a sperimentare in prima persona la conoscenza di Gesù. Dunque Gesù prega. È uno dei primi indizi di cui si cercherà di tenere conto nella successiva ricerca che farà la Chiesa riguardo all’identità di Gesù. Qui Gesù e il Padre sono distinti, come nel Getsemani.
…pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà. Lc 22, 41-42
Ma in altri momenti Gesù si identifica con il Padre
Io e il Padre siamo una cosa sola. Gv 10, 30
La Chiesa ha cercato di tener conto di tutti e due i testi per cercare di capire chi sia veramente Gesù, ricavandone la convinzione che Gesù sia Dio con il Padre, ma nello stesso tempo una persona distinta da lui e nello stesso tempo anche vero uomo. Nei primi secoli della Chiesa molte sono state le lotte e discussioni riguardo a questa domanda: chi è veramente Gesù? Dio o uomo? E molte sono state le risposte:
Gesù è Dio, uomo solo in apparenza (docetisti)
Gesù è uomo ma non Dio (adozionisti)
Gesù è Dio ma non uomo (monofisiti)
Gesù e il Padre sono solo due modi diversi di manifestarsi della stessa divinità (modalisti).
La Chiesa Cattolica ha riconosciuto in Cristo la personalità divina e quella umana unite e distinte, riassumendo tutto il percorso teologico nel credo Niceno-Costantinopolitano, quello che noi cattolici proclamiamo durante la messa domenicale.


Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Ancora le sinagoghe e ancora i demòni. Per ora Gesù può parlare liberamente, non ha ancora fatto nulla che lo metta in contrasto con le autorità religiose (tranne guarire di sabato una donna toccandola, ma forse questo essendo avvenuto in casa non si è saputo in giro), ma vedremo che presto le cose cambieranno. Un altro particolare curioso è che ancora una volta si evidenzia il ruolo di ‘scacciatore di demòni’ di Gesù, piuttosto che di guaritore. A noi verrebbe da mettere più in evidenza il fatto che guariva i malati. Invece Marco sottolinea il fatto che predichi e che cacci i demòni. Evidentemente Gesù individua, oltre al male fisico, anche un qualche tipo di altro male, al quale sembra persino più interessato, forse perché lo ritiene più grave. Vedremo gli sviluppi di questa curiosa questione.