Giovanni (è Giovanni il Battista, non l’evangelista) stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!».
Il Battista compie la sua missione: indica Gesù, in modo che chi lo ascolta lo possa seguire.
Ma lo indica in un modo particolare: non lo chiama per nome ma attraverso un titolo, agnello
di Dio, che è un po’ misterioso, e richiede una spiegazione. L’espressione richiama due testi
dell’Antico Testamento:
Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: «Questo mese sarà per voi
l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità
d’Israele e dite: “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia,
un agnello per casa …. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno
… tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’
del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo
mangeranno. Es 12, 1-7Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua posterità?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per la colpa del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha spogliato se stesso fino alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i colpevoli. Is 53, 7-12
Il primo testo viene completato e chiarito dal secondo, che a sua volta è una profezia che si
realizza in Gesù. Non so se Andrea e l’altro discepolo fossero in grado di capire al volo questo
riferimento che fa il Battista, perché l’identificazione di Gesù con l’agnello sacrificato
e con il servo sofferente ha richiesto molto tempo prima di essere espressa, tanto che gli ebrei
tuttora non danno una interpretazione messianica al testo di Isaia, ma lo riferiscono al popolo
di Israele, mentre la comprensione di Gesù come agnello sacrificato è arrivata solo dopo la sua
morte. I due però sono discepoli del Battista, e da lui avranno certamente sentito molti
riferimenti a ‘colui che doveva venire’, che ora viene identificato con l’agnello di Dio:
Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte
di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo
e fuoco. Mt 3, 11
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor
loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con
acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci
dei sandali. Lc 3, 15-16Per ora si fidano del Battista, molto tempo dopo capiranno il senso di questi richiami profetici
(agnello dell’esodo – il servo-agnello immolato – Gesù in croce).
E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?».
Domanda che apre grandi spazi di riflessione e spiritualità. Che cosa cerco? Se tra le tante
cose che cerco c’è anche l’incontro con Dio, ora tramite Gesù è possibile, ma se cerco altro,
anche se Dio si rende raggiungibile rischierei di non incontrarlo.
Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?».
Giovanni l’evangelista, oltre a scrivere per cristiani che sono già relativamente lontani dal
tempo di Gesù, scrive anche per cristiani distanti dai suoi luoghi, e quindi anche dalla sua
lingua. Quando Giovanni scrive sono passati già una settantina di anni dagli eventi, e i
cristiani sono già sparsi per molti territori dell’Impero Romano. Quindi Giovanni deve
anche spiegare alcuni termini, in particolare per i lettori non ebrei.
Al di là di questi particolari tecnici, la cosa più importante in questo dialogo è il tipo di
domanda che i due fanno a Gesù. Non è una preghiera di richiesta per sè stessi
(ti cercavo perchè avevo bisogno di...), ma un desiderio di conoscenza: 'dove abiti?'.
Non concentrano l'attenzione sulle proprie esigenze, ma su di lui, su chi è, su quello che fa,
sul dove vive, quasi esprimendo un desiderio di andare a vivere con lui.
Non dimentichiamo che sono due discepoli del Battista, e essere discepoli, in ambito ebraico,
esigeva di stare sempre con il proprio maestro, di vivere quasi con lui. Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Gesù invita a verificare di persona. State con me e vedrete. Noi tendiamo a fare il contrario:
prima vedere e poi decidere se stare con lui. Gesù chiede di sperimentare la confidenza con
lui, e in base a quella poi decidere. Se venite con me vedrete, se non venite con me non
vedrete.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.
Chi è l’altro? Non lo sappiamo. Un’ipotesi è che sia lo stesso Giovanni, che ama nascondersi
a volte nel racconto. Come osservazione più spirituale, questo è uno dei testi in cui compare
uno o più discepoli ‘senza nome’, in cui ciascuno si può identificare per inserirsi
personalmente nell’evento dell’incontro con Gesù:
…due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus … uno di loro, di
nome Clèopa... Lc 24, 13-18
…si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di
Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli... Gv 21, 1-2Egli incontrò per primo suo fratello Simone
L'esperienza dell'incontro con il Signore è una di quelle cose grandi che non si possono
tenere per sè, bisogna andarlo a dire a qualcuno. In questo caso anche per permettere ad
altri di incontrare chi è importante per noi. Andrea va subito a dirlo a Simone.
e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù.
Un’altra traduzione, che però per noi richiede una spiegazione, perché è una traduzione
dall’ebraico al greco, mentre noi parliamo in italiano. Nella traduzione italiana il nome ‘Cristo’
è stato lasciato com’è perché è il titolo con cui anche noi chiamiamo Gesù, ma anche questo
titolo diventato ormai nome proprio ha un significato specifico. Messia (mashiah) in ebraico
significa ‘unto, consacrato’ (perché la consacrazione di una persona avveniva attraverso una
unzione con olio), quindi dire di uno ‘unto’ significava esprimere la sua consacrazione a Dio.
Ma ‘unto’ in greco si traduce con ‘christòs’ (da chrìo, ungere), quindi il nome ‘Cristo’
significa Messia, unto, consacrato, ed è appunto un titolo di identità. Per Gesù, il santo per
eccellenza, il titolo è diventato parte del nome stesso: Gesù Cristo, nome con il quale lo
conosciamo.
Lo stesso nome ‘Gesù’ non è una traduzione, ma una traslitterazione del nome ebraico Yeshùa
(o Yeshu nella pronuncia galilaica), che significa ‘Dio salva’ (da Yah, abbreviazione del nome
di Dio Yahweh, e shùa, salva). Questo ci aiuta a cogliere il motivo della scelta di questo nome
(molto comune) per il figlio di Dio. Nel testo così come è stato tradotto in italiano si perde con
il gioco di parole il significato stesso del nome:
lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Mt 1, 21
Traducendo in modo un po’ grossolano il testo ebraico, per rendere il gioco di parole,
verrebbe fuori:
‘lo chiamerai Diosalva: egli infatti salverà...’
Oppure, usando un nome per noi più comune (ma che non contiene più il nome di Dio):
‘lo chiamerai Salvatore: egli infatti salverà...’
Quindi il nome ebraico completo del figlio di Dio era Yeshùa Mashiah, mentre nella
traduzione greca è diventato Iesous Christòs, che invece di essere tradotto nelle diverse
lingue con il suo significato (in italiano sarebbe Dio-Salva il consacrato) è rimasto così,
e nelle varie lingue viene traslitterato e riproposto con variazioni dovute alla pronuncia
e alterazioni intervenute nel tempo.
Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
Andrea invita suo fratello Simone a conoscere Gesù. Gesù gli cambia nome e lo chiama
Kefa, che in aramaico significa ‘pietra’. Kefa viene tradotto in greco con il corrispondete
‘Petros’, da cui Pietro in italiano.
Noi tendiamo a fare il contrario: prima vedere e poi decidere se stare con lui. Gesù chiede di sperimentare la confidenza con lui, e in base a quella poi decidere.
RispondiEliminaGrande.