domenica 13 febbraio 2011

legge o libertà?

Mt 5, 17-24

Se lui è venuto a compierla, la Legge divina non è completa. Ovviamente neppure la legge umana lo è.

Quindi sono libero di violarle, nel caso avessi dei motivi che io ritengo validi?

La domanda è forte, sia nel caso (serio) in cui la legge abbia delle lacune, o non sia chiara, o sia interpretabile in diversi modi; sia nel caso (comodo) in cui io semplicemente non abbia convenienza a osservarla.

Vado a chiedere:

Il fatto che la Legge non sia compiuta non vuol dire che non sia valida. Su questo Gesù è molto chiaro. Quello che è stato rivelato prima di lui non è da buttare via:

non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli.

Poiché la Legge è incompiuta va superata. Come? I farisei vantavano l’osservanza di tutte le norme della Legge, i 613 mitzvot (precetti) fin nel minimo dettaglio. Qui Gesù dice una cosa molto forte:

se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

Osservare la Legge non basta. Una giustizia intesa come sola osservanza delle norme e delle regole non assicura l’ingresso nel regno dei cieli.

La Legge va superata. Non basta fare il minimo indispensabile. Devo andare oltre e completare quel minimo che la Legge mi impone ed estenderlo a tutto il suo significato.

Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.

Gesù invita a passare dall’osservanza della legge al significato della legge. Questo vale per la Legge divina, ma credo sia applicabile anche alla legge umana.


La Legge dice ‘non uccidere’. Se mi limito a prenderla alla lettera, basta che non commetto omicidi e sono a posto. Se invece ne colgo il senso in tutta la sua profondità starò attento a non fare qualunque cosa che possa in qualche modo uccidere l’altro. Se io considero stupida una persona, in qualche modo la uccido, nel senso che la sminuisco, per me vale poco, non la considero. Se la dichiaro pazza non è per me quasi più una persona, quindi la uccido ancora di più.
Nel nostro linguaggio quotidiano usiamo una serie di epiteti che in sé si avvicinano molto agli stessi termini che usa Gesù nei suoi esempi: Ma sei scemo? Ma sei matto? Ma solitamente nel nostro parlare non sono intesi come insulti e non vogliono sminuire la dignità e l’identità della persona che abbiamo davanti. Credo però che sia una buona idea quella di fare un po’ più attenzione al nostro modo di parlare, per due motivi: intanto perché a volte un termine detto con leggerezza può offendere (credo che lo abbiamo sperimentato tutti), e poi perché abituarsi a controllare il proprio linguaggio è sempre una cosa saggia, come pure controllare i propri comportamenti. Abituarsi a un linguaggio da bimbominkia, dove gli altri sono sempre considerati come imbecilli, fa perdere la sensibilità verso gli altri, oltre a farla perdere verso se stessi.

Allora qual è il criterio da usare nell’applicare la Legge? Qual è il metodo da usare per completarla in modo che non sia distorta a nostro comodo ma intesa in tutto il suo significato? C’è un testo della lettera di Giacomo che ci può aiutare:

Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio. Gc 2, 12-13

Giustizia e Misericordia. Legge e Libertà.

Sono conciliabili? Spesso salvando una si perde di vista l’altra.
 
Semplificando molto, ma molto, ma moltissimo, mi sembra che anche nella realtà sociale, culturale e politica si realizzino diversi tentativi di conciliare le due realtà. E in questi tentativi una delle due in qualche modo finisce per prevalere:

Legge senza libertà, giustizia senza misericordia = destra
Libertà senza legge, misericordia senza giustizia = sinistra

Tra i miei venticinque lettori (cit.) ci sarà sicuramente chi si sta strappando i capelli davanti a una semplificazione così becera, ma a me sembra sia utile.
La stessa contrapposizione o lacerazione è visibile anche all’interno della realtà ecclesiale, forse ancora più marcata: integralisti contro relativisti, dogmatici contro lassisti, tradizionalisti contro progressisti, etc.

Lascio immediatamente il terreno politico, sul quale non ho competenze, e torno al ruolo della legge nella nostra vita. Di cristiani ma anche di cittadini. Paolo dice che la Legge (si parla sempre della Legge divina) è stata per noi un pedagogo (Gal 3, 23)

Prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo.

Quindi ha la sua importanza, ma occorre andare oltre. Un bambino ha bisogno di regole chiare, ma crescendo deve soprattutto capirne il senso per intendere la legge non come una gabbia ma come un aiuto.

dal sito della pastorale giovanile di Vicenza

Arrivato Cristo non posso più accontentarmi di osservare formalmente i comandamenti. Devo averli capiti e colti nel loro significato. Nel nostro caso Gesù è molto chiaro.

Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.

Non posso accontentarmi di non aver tolto la vita a qualcuno, ma dovrò cercare di fare tutto il possibile per non privarlo di nessun aspetto della vita. 


Gandalf, il più caro e sincero tra i miei amici, che devo fare? Che peccato che Bilbo non abbia trafitto con la sua spada quella vile e ignobile creatura quando ne ebbe l'occasione».
«Peccato? Ma fu la Pietà a fermargli la mano. Pietà e Misericordia: egli non volle colpire senza necessità. E fu ben ricompensato di questo suo gesto, Frodo. Stai pur certo che se è stato grandemente risparmiato dal male, riuscendo infine a scappare ed a trarsi in salvo, è proprio perché all'inizio del suo possesso dell'Anello vi era stato un atto di Pietà».
«Mi dispiace», disse Frodo; «ma sono terrorizzato e non ho alcuna pietà per Gollum».
«Non l'hai visto», interloquì Gandalf.
«No, e non ne ho alcuna intenzione», disse Frodo. «Non riesco a capirti; vuoi dire che tu e gli Elfi l'avete lasciato continuare a vivere impunito, dopo tutti i suoi atroci crimini? Al punto in cui è arrivato è certo malvagio e maligno come un Orchetto, e bisogna considerarlo un nemico.  Merita la morte».
«Se la merita? Eccome! Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita.  Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze.  Ho poca speranza che Gollum riesca ad essere curato ed a guarire prima di morire. Ma c'è una possibilità. Egli è legato al destino dell'Anello.  Il cuore mi dice che prima della fine di questa storia l'aspetta un'ultima parte da recitare, malvagia o benigna che sia; e quando l'ora giungerà, la pietà di Bilbo potrebbe cambiare il corso di molti destini, e soprattutto del tuo.
J.R.R.Tolkien – il Signore degli Anelli


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