venerdì 28 gennaio 2011

domande e risposte/2

Cos’è che dobbiamo fare?

Per quel che vale la mia opinione, credo che a volte noi cattolici tendiamo ad avere una visione della vita un po’ limitata all’aspetto morale (bisogna comportarsi bene) e assistenziale (bisogna fare del bene agli altri). Questi due aspetti sono importantissimi, ovviamente, ma non sono esclusiva del cristianesimo. Se lo fossero vorrebbe dire che chi non è cristiano non è capace di comportarsi bene o di far del bene agli altri.
Inoltre, cosa vuol dire ‘comportarsi bene’? Secondo quali criteri, in base a quali regole? E poi, cosa si intende per ‘bene’? E cos’è il ‘bene per gli altri’?
Cos’è che alla fin fine dobbiamo fare?

Vado a chiedere.

Dalla discussione precedente tra il dottore della Legge (chiamiamolo Doc) e Gesù (chiamiamolo Gesù), oltre alle cose già dette vengono fuori due cose interessanti. La prima sta nella stessa risposta che Doc dà alla domanda di Gesù, che gli chiede: cosa sta scritto nella Legge?. Lui risponde: ‘Amerai il Signore Dio tuo … amerai il prossimo come te stesso’. Gesà apprezza la risposta. Però queste due cose sono un po’ diverse dal generico comportarsi bene e dal fare del bene agli altri. Inoltre comportarsi bene e essere altruisti, a pensarci bene, sono cose che possiamo tranquillamente gestirci da soli. Non richiedono alcuna presenza di Dio. Mentre il primo comandamento richiede non solo di chiamarlo in causa, ma addirittura di instaurare con lui un legame affettivo: ‘amerai il Signore Dio’.
Ma non basta. Doc, dopo che Gesù gli ha detto ‘fa’ questo e vivrai’, gli fa un’altra domanda: ‘E chi è il mio prossimo?’. Gesù stavolta risponde così:

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre.Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre.Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Lc 10, 30-35


Una interpretazione moralistica della parabola potrebbe essere: il samaritano ha aiutato il poveraccio, anche io devo aiutare i poveracci.
Ma non mi sembra che Gesù dica questo.
Dopo aver raccontato la parabola fa una domanda a Doc:

Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?

Attenzione al parallelo tra la domanda di Doc (chi è il mio prossimo?) e la domanda di Gesù (chi è stato il prossimo di quell’uomo?). Come dire: se capisci chi è stato il prossimo di quell’uomo, capirai anche chi è il tuo prossimo.
Ma chi è stato il prossimo del poveraccio randellato dai banditi? Quell’uomo non può certo aiutare nessuno. Non può comportarsi bene. Non può fare nulla. L’unico che gli è prossimo, nel senso di vicino, è il Samaritano. Ma l’uomo non aiuta il Samaritano, è il Samaritano che aiuta lui.
Chi è il suo prossimo? Chi lo ha aiutato.
Chi è il mio prossimo? Chi aiuta me. Non chi devo aiutare io. 
Ma guarda che strano...

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