domenica 30 gennaio 2011

Chi è il mio prossimo?

Abbiamo visto che Gesù ribalta il significato di questa domanda: non è 'chi devo amare?'  ma  'a me chi mi ama?'. 
Noi cattolici un po' moralisti tendiamo a guardare con diffidenza questa domanda, perché ci sembra egoistica. Invece è fondamentale. Solo se troverò una risposta positiva a questa domanda potrò dedicarmi serenamente e realmente ad amare gli altri. Se non sono sicuro che qualcuno mi ama, anche se mi dedicherò agli altri lo farò sempre con il desiderio più o meno mascherato che gli altri mi ricambino, e finirò per compiere dei gesti altruistici con il segreto obiettivo che diano soddisfazione a me: questo si chiama egoismo. Molto sottile e raffinato, ma sempre egoismo.

Proviamo allora a rileggere la parabola senza lasciarci sviare dalla nostra visione delle cose:

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti.
Un buon metodo per capire la Parola di Dio è quello di immedesimarsi nei protagonisti. Come abbiamo visto, Gesù fa un parallelo tra quest’uomo e noi: chi è il suo prossimo? chi è il mio prossimo? Quell’uomo siamo noi.

Un sacerdote passò oltre. Un levita passò oltre.
Sacerdote e levita sono i custodi della Legge e del Culto. Ma legge e culto da soli non salvano, se chi ne è portatore non vuole farsi coinvolgere.

Un Samaritano era in viaggio.
I Samaritani erano considerati eretici dagli Ebrei osservanti. ‘Samaritano’ era un termine dispregiativo. Chi è questo samaritano, se l’uomo incappato nei briganti siamo noi? C’è un passo del vangelo di Giovanni che è illuminante:
Risposero i Giudei a Gesù: “Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano e hai un demonio?”. Gv 9, 48

Questo Samaritano ‘era in viaggio’: prima della parabola, al cap. 9, Luca scrive:
Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Lc 9, 51-53

Per due volte viene sottolineato che Gesù è in cammino verso Gerusalemme. E non solo è considerato un samaritano, ma addirittura è un rifiuto dei samaritani.
Mentre l’Uomo sta scendendo da Gerusalemme, il Samaritano sale verso Gerusalemme.
Gerusalemme è la città in cui Uomo e Dio possono vivere insieme. Solo vivendo con Dio l’uomo riesce a essere Uomo completo, totalmente vivo perché a contatto con la Vita. Abbandonando Gerusalemme l’Uomo rischia di perdere pezzi di vita (‘lo lasciarono mezzo morto’).
Gesù è Dio che si fa Uomo, anzi Samaritano, anzi, rifiuto dei samaritani, e dal fondo del suo abbassamento sale incontrando per strada l’Uomo che nel frattempo ha subito le conseguenze del suo allontanamento (come il figliol prodigo che lascia la casa del padre per finire a pascolare i porci).
Il Samaritano soccorre l’Uomo:
‘ne ha compassione. Gli si fa vicino, gli fascia le ferite,  lo porta in un albergo e si prende cura di lui’


"Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?".
"Chi ha avuto compassione di lui".
"Va’ e anche tu fa’ così".

Che differenza c’è tra il “fa’ questo e vivrai” di prima della parabola e questo “fa’ anche tu così”?
Il primo invito veniva dopo la citazione di un comandamento: nella Legge c’è scritto che devo amare Dio e il prossimo, quindi devo obbedire al comando e mettere in pratica la regola. Detto così, pur riconoscendone l’importanza e l’autorità, questo comando rischia di rimanere inefficace. So che devo farlo, ma oltre a questo non ho motivi per farlo. Tutt’al più lo farò per dovere e perché ho paura di chi me lo comanda, ma difficilmente ci metterò il cuore e certamente lo farò svogliatamente. Anzi, appena troverò una scusa per evitarlo: ‘quello, volendo giustificarsi’…
Ecco perché Gesù racconta la parabola: per mettermi in gioco, per farmi passare dalla regola da osservare al coinvolgimento personale.
Se mi rendo conto di essere implicato in prima persona cambia tutto. Non si tratta più solo di osservare una regola, per quanto riconosciuta valida e autorevole, ma di salvare la pelle. Fin quando non mi renderò conto di essere stato ‘salvato’ dal Samaritano, di quanto questo salvataggio sia stato vitale per me, non sarò veramente capace di fare qualcosa per gli altri. 
Paolo di Tarso lo spiega così:

Dio, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. II Cor 1, 3-4

A questo punto mi sovviene una domanda impertinente:  

ma perché cavolo il Samaritano non è arrivato prima?

Nessun commento:

Posta un commento